Mieko Kawakami (27 agosto 1976) autrice di fama internazionale, sposata con lo scrittore Abe Kazushige (edito in Italia con Nipponia Nippon (2001) sempre per e/o), torna negli scaffali con un libro molto atteso. La lettura si presenta meno sperimentale del primo Seni e uova e meno violenta di Heaven, romanzo che tratta il tema del bullismo, ma Kawakami rimane sempre salda al tema che l’ha contraddistinta nel panorama letterario: ovvero la difficoltà d’esser donna nel Giappone contemporaneo e cosa significhi vivere ai margini della società.
Irie Fuyuko è l’editor trentenne che lavora per una casa editrice. Ha pochi interessi e piaceri nella vita, ma si contraddistingue nel suo ambiente lavorativo per la grandissima abilità nel trovare refusi in un testo, cosa che spesso la porta ad annullarsi all’interno di esso, arrivando, a lavoro terminato, a dimenticare completamente il contenuto letto per giorni e giorni. La sua scarsa capacità di interazione con l’esterno le causa lo scherno dei colleghi, che finiscono per considerarla inetta. Nel momento in cui si presenta la possibilità di lasciare l’azienda per diventare freelance, Irie non ci pensa due volte, ma involontariamente questo la rende ancora più sola. Un giorno mentre passeggia per strada guarda il proprio riflesso e questa visione la atterrisce: “… ho visto la mia immagine riflessa nel vetro di una finestra. […] la mia faccia sembrava fluttuare al di sopra in trasparenza, pallida e misera. Sì, ‘misera’, era la parola giusta, non infelice, triste o spenta. […] E quella donna di trentaquattro anni con indosso un cardigan e un paio di jeans slavati ero io. Una donna misera, squallida e del tutto incapace di godersi la vita.” Irie decide di cambiare vita, volendo distanziarsi dall’immagine di sé che ha, cercando di uscire dalla propria bolla e riuscendo anche a conoscere un uomo più grande di lei, che lentamente diventerà il suo love interest. A rimanere costante nel testo, più che quest’uomo, è la figura di una donna dal carattere forte: Hijiri, la referente di Irie. Hijiri è il suo opposto: difficilmente si fa mettere i piedi in testa, espone le proprie idee con chiarezza e una sicurezza d’animo che tendono a spiazzare Irie.
Anche altre persone fanno capolino nella storia, attraverso dialoghi affrontano temi di attualità. La maggior parte di questi personaggi risulta più inserita in un contesto familiare e lavorativo, sollevando riflessioni su cosa significhi essere donna nella società moderna: si passa dal rinunciare alla propria indipendenza per diventare madre e dedicarsi alla famiglia alla decisione di affrontare una gravidanza senza l’appoggio di una figura paterna, ma anche al dover vivere insieme dopo anni di matrimonio sapendo che non vi è più amore.
Oltre questo, uno degli elementi che accompagna le vicende di Irie è l’alcol. L’autrice non si pronuncia espressamente in modo negativo sull’uso che la protagonista ne fa, lasciando il giudizio completamente al lettore. Irie passa da essere completamente astemia a bere sempre di più, finendo anche in situazioni piuttosto imbarazzanti. La solitudine che la circonda è così opprimente dal farla diventare un’alcolizzata: esce di casa, riempie una fiaschetta con del sake o della birra e beve, beve fino a star male e vomitare in pubblico, beve fino a che non perde il contatto con la realtà che la circonda e finché il suo riflesso “mediocre” non diviene sfocato. Beve nel momento in cui confessa di non sopportare più la solitudine della casa in cui vive, piena di manoscritti da rivedere e di cui non ricorderà più niente. Kawakami mantiene anche in Gli amanti della notte la sua grande capacità nel trattare i temi più difficili con una delicatezza e un’umanità difficilmente ravvisabile altrove.