Michael Cunningham / Interno di famiglia queer prima durante e dopo il lockdown

Michael Cunningham, Day, tr. Carlo Prosperi, La nave di Teseo, pp. 320, euro 22,00 stampa, euro 11,99 epub

Michael Cunningham è un californiano che vive ormai da anni a New York, e il suo fascino prende il meglio delle due coste: la sofisticazione e gli occhiali dalla montatura spessa à la Brooklyn, e l’atteggiamento friendly e easy going della West Coast. Era a Milano ospite del suo editore, e ci siamo incontrati, con altri blogger e giornalisti, in una bellissima sala piena di bellissimi libri e sede della Nave di Teseo. L’occasione è ovvia, l’uscita di Day, il suo ultimo romanzo: tre giorni, uno del 2020, uno del 2021 e uno del 2022. Uno prima della pandemia, uno durante la pandemia, e uno dopo. Di nuovo il numero tre a scandire le storie e le vite dei personaggi. Gente “ordinaria”, classe media intellettuale di Brooklyn. Gente che si sente minacciata. Nel lavoro: Isabel è photo editor in una rivista patinata, il cui pubblico e budget si riducono costantemente, per quanto potrà ancora continuare? Nelle case: Robbie, il fratello di Isabel che vive nell’attico sopra la sorella e insegna alle elementari, quanto in periferia si dovrà spostare per trovare una sistemazione che si può permettere? E nella vita stessa: il Covid, che ci ha fatto pensare che forse non avremmo mai avuto un futuro, e che blocca e sospende le esistenze dei protagonisti di Day.

Dunque una coppia in crisi, i loro figli, il fratello di lei, il fratello di lui, un bambino nato con l’inseminazione artificiale, stretti tra loro con grande affetto. Una famiglia queer, o arcobaleno, o allargata, in cui la diversità è così parte del quotidiano che non ci si fa caso. Perché per noi lettori in questo gruppetto di persone che si preoccupano l’una per l’altra (i bambini sono preoccupati per i genitori, i genitori sono preoccupati per i figli, i fratelli sono preoccupati l’uno per l’altro) c’è così tanto di noi, noi quando chiudiamo la porta e lasciamo andare lo sforzo di essere all’altezza o qualcosa di più. E non è forse la preoccupazione una delle manifestazioni dell’amore?

Isabel si siede sulle scale, cerca di prendersi del tempo, sa che deve essere forte, sa che è forte, ha solo bisogno di una pausa, di ritrovare quello che l’ha portata dov’è ora. Robbie, suo fratello ha aperto un account Instagram a nome Wolfe, sorta di gemello migliore, una versione di se stesso più bella, più simpatica, più amata; e passa il lockdown in una baita in Islanda. Dan, il marito, si prepara a tornare a far musica in pubblico dopo essere stato per troppo tempo al riparo della casa; tornerà di fronte al pubblico e andrà come andrà. Violet e Nathan, i figli, sono sempre sull’allarme, che ne sarà dei genitori, che ne sarà della casa, dello zio, della vita. Ma mentre Nathan sembra solo preoccupato che i suoi amici lo raggiungano senza farsi beccare, Violet nasconde sotto i vestitini regalateli dallo zio Robbie una visione lucida e inquietante, e la sua vanità è solo del fumo negli occhi degli adulti di cui ha già capito la pochezza e l’inaffidabilità. Garth, il fratello di Dan, finalmente esporrà al Whitney; ma quello che davvero vorrebbe è fare solo il padre del piccolo Odin, per il quale è stato donatore di sperma. Chess, la madre di Odin, di Garth non ne vuole sapere, ma forse negozieranno. La confusione, l’aleatorietà, le occasioni perdute e quelle ritrovate scorrono una sull’altra, con l’imprevedibilità connaturata alla nostra esistenza. E c’è una delicatezza, una gentilezza, una levità nel modo in cui Cunningham ci fa entrare in queste vite, nella loro nudità, nelle loro mancanze e nei loro eroismi. Ci fa entrare in punta di piedi, con il dovuto riguardo e con molto affetto.

Ho chiesto a Cunningham se fosse stata la storia, o i personaggi a domandargli di essere ancora più profondamente compassionevole e pieno di calore di quanto non sia in tutti i suoi romanzi; o se fosse una sua evoluzione, un passaggio nella sua scrittura. E lui ha ricordato che ogni scrittore vive cercando di imparare come si scrive un romanzo, e che morirà cercando di imparare come si scrive un romanzo. O come Monet ormai ottantenne, che dopo aver completato un quadro e ricevuto molti complimenti, ha sottolineato che i riflessi sull’acqua non erano ancora venuti come lui avrebbe voluto, ci avrebbe dovuto lavorare ancora molto. Insomma come per tutti noi ogni cosa che facciamo è un passo avanti, ma anche un tentativo, uno sforzo in un processo di apprendimento che finisce solo con noi.

Qualcun altro ha voluto sapere come fosse stato il lockdown per lui, una domanda che si faceva a tutti gli scrittori fino a non molto tempo fa, e che è stata ripresa perché Cunningham stesso, nel presentarsi e fare una premessa sul nuovo romanzo, ha raccontato che quando è esplosa la pandemia stava completando uno scritto, ma l’ha dovuto interrompere perché non poteva concepire di non restare collegato a quanto stava succedendo intorno a lui. Non solo perché un romanzo è qualcosa che non ha una vita immediata ma ce l’ha nel futuro, e quindi che senso ha scrivere un romanzo se il futuro non ci sarà, ma perché un romanzo racconta il mondo, racconta le storie di chi non ha voce, di chi sarebbe dimenticato dalla grande Storia. E quindi bisognava dar conto di quei fatti, soprattutto di come ci sentivamo di fronte a quei fatti. Che se Day testimonia la realtà, lo fa andando al cuore dei pensieri e dei sentimenti dei personaggi, conducendoci nel mondo interiore spesso nascosto e inconfessato dei personaggi. Ci possiamo ritrovare o possiamo dissentire, ma in ogni caso attraverso la lettura entriamo anche noi nel nostro mondo interiore, e scopriamo qualcosa che non avevamo potuto o voluto vedere, e troviamo le parole per qualcosa che non potevamo o volevamo esprimere, e ne usciamo arricchiti, più lucidi e commossi, anche addolciti. È questa una lettura intensa e lieve, avvolta di nuvole leggere e dell’azzurro del cielo. Come nella copertina.