Si scorrono uno a uno, come i grani di un rosario, i grandi avvenimenti della storia del Novecento. Superata la Prima guerra mondiale e la Rivoluzione bolscevica, conclusosi il Biennio rosso italiano, siamo nell’anno di un anniversario davvero funesto per l’Europa e il mondo intero come la Marcia su Roma. Ognuno di questi accadimenti della Storia porta oggi a ricomporre una fitta trama di interdipendenze e il manifestarsi di una sempre maggiore globalizzazione, perché, in pochi giorni, lo scontro tra la classe operaia e i singoli sistemi nazionali è serpeggiato per il continente, come risultato di una diffusa non accettazione del nuovo ordine mondiale e del consolidarsi dei precedenti sistemi di potere locali dediti allo sfruttamento. La sconfitta dell’insurrezione spartachista berlinese, da parte della socialdemocrazia di Friedrich Ebert, che non esitò a usare le milizie protofasciste dei freikorps pur di reprimerla, è forse uno di quegli avvenimenti che dalla Germania si proietteranno nella crisi italiana degli anni successivi, mostrando una politica di divisioni e di opportunismi. I fatti berlinesi del gennaio 1919, con il tradimento della socialdemocrazia, che aveva appoggiato fanaticamente l’entrata in guerra e la diffusione di tentativi rivoluzionari in tutta l’Europa Centrale, trovano in Italia un originale laboratorio politico. Mentre i Fasci di Combattimento mussoliniani si presentano alle elezioni parlamentari del 1921 sotto la paterna e protettiva ala dei liberali di Giovanni Giolitti all’interno del nefasto Blocco Nazionale, raggranellando 35 deputati, i socialisti sono il partito più votato, con 135 eletti, mentre il Partito Comunista d’Italia di recente formazione arriva a solo 15 rappresentanti.
Quelli che a Livorno. Cronache di una scissione è una approfondita graphic novel sul congresso del Partito Socialista Italiano che si tenne a Livorno tra il 15 e il 21 gennaio 1921, famoso per la scissione che portò alla fondazione del Partito Comunista d’Italia. È questo un tema di discussione politica che ancora non ha raggiunto un punto terminale. Da un lato si lamenta la mancata capacità politica di comprendere il fascismo e la sua attrattiva per la classe dirigente italiana, e di evitare una scissione che ha indebolito la sinistra italiana, anzi si condanna per non avere attivato un fronte unitario di socialisti, comunisti, libertari, repubblicani allo scopo di impedire la creazione di alleanze con la monarchia e l’ascesa al potere del partito di Mussolini. Dall’altro è lampante il caso tedesco in cui la socialdemocrazia è stata uno delle cause del successo del nazismo, e che sia mancata in Italia una mobilitazione popolare diffusa per contrastare la Marcia su Roma e l’azione capillare di violenza e intimidazione. A un secolo di distanza sembra evidente che solo l’opzione rivoluzionaria avrebbe potuto cambiare la storia, ma la situazione sociale e politica della base, la grande partecipazione operaia, contadina, delle leghe e dei sindacati, era inevitabilmente eterogenea.
Silvano Mezzavilla e Luca Salvagno sono due firme storiche del fumetto italiano e, soprattutto, del racconto storico che era stato un punto di forza del Corriere dei Piccoli e del Giornalino. La loro ricostruzione è chiara e seria, storicamente approfondita e ha l’indubbio merito di riportare alla vita i volti, la vita e le idee dei protagonisti che operarono la scissione dai socialisti moderati di Turati, nell’idea che una rivoluzione sul modello bolscevico dovesse essere tentata in Italia. Forse fu un errore imperdonabile, ma il contesto storico lo rese inevitabile, e Luigi Repossi (forse il protagonista), Bruno Fortichiari, Amadeo Bordiga, Antonio Gramsci, Nicola Bombacci e Umberto Terracini tornano a vivere nelle tavole in bianco e nero, con i loro dubbi e certezze, e la frustrazione di avere mancato quel plebiscito che invece riuscì a Lenin quando portò, inaspettatamente, tutti i rappresentanti verso gli obiettivi della minoranza bolscevica. Il libro apre tante curiosità, verso il dopo, verso le vignette che non ci sono, verso gli anni sempre più bui, verso la distruzione di quel poco di democrazia che era stata conquistata a caro prezzo, verso quello schifo che fu la monarchia italiana dei Savoia e del loro vomitevole codazzo e, soprattutto, verso quella lezione autoritaria che il fascismo italiano (diretto responsabile di milioni di morti) diede alla Spagna e alla Germania.
Da ricordare la figura di Bombacci, persona ambigua o forse troppo coerente, superficiale visionario, ma di certo elemento fondamentale del “gruppo di Livorno”, con la sua fine tragica offuscata dal proprio pensiero sempre più confuso e irrealista. Assieme a Gramsci è l’unico tra i fondatori che non vede la caduta del fascismo, anzi, ne farà parte per essere fucilato il 28 aprile 1945 sul greto del Lago di Como dai partigiani della 52° Brigata Garibaldi, i testimoni riportano che abbia gridato “Viva l’Italia e Viva il Socialismo”. Sarà appeso il giorno successivo alla pensilina del distributore Esso di piazzale Loreto.