Daniel C. Dennett, Dai batteri a Bach. Come evolve la mente, tr. Simonetta Frediani, Raffaello Cortina Editore, pp. 560, euro 32,00 stampa
La mente è il mistero di se stessa. O non è affatto un mistero, e la sua integrale historia segue quella dei quattro miliardi di anni (circa) da quando la vita si evolve su questo pianeta? Per Daniel C. Dennett l’informazione (così come la scienza l’intende) e Darwin hanno la meglio su un eventuale blocco dell’evoluzione, altrimenti non saremmo qui a pensare su noi stessi – in altre parole non esisterebbe una mente che pensa se stessa.
Dai batteri a Bach è legittimamente arduo da seguire, il pensiero evoluzionistico qui tracciato (e in polemica liquidatoria con certe derive creazioniste in voga da diversi anni in alcune aree delle istituzioni) pretende salti e digressioni di prima qualità, e una ricerca bibliografica soccorritrice su alcuni temi specialistici: dalla biologia alla matematica, dall’informatica alla filosofia. Dennett è sì docente di filosofia e scienze cognitive, ma appartiene a quel genere di scienziati (per esempio Hawking o Rovelli, per citare due menti – la prima, purtroppo, scomparsa – ispirate e iper-popolari) che depositano in sé grandi quantità di linee scientifiche e “umanistiche” per poi convogliarle in una personale teoria onnicomprensiva capace di illuminare e affascinare studiosi e semplici lettori.
Dennett afferma che la nostra mente (o “coscienza”) si è originata secondo processi non intenzionali della selezione naturale. Alleato il fattore tempo, che in linea di massima non ha avuto ostacoli, per dirla grossolanamente, dal Big Bang a oggi. La dimensione dell’universo non ha mai smesso di aumentare, e ancora non sappiamo se la smetterà, ritornando al punto “vuoto” iniziale o se tutto (è la parola giusta, datemi retta) andrà a finire in un inimmaginabile gelo eterno. Dentro questa “follia” esistiamo noi, figli dell’evoluzione sul pianeta, “coscienti” di percepire e comprendere, a differenza di tutti gli altri abitanti animali e vegetali.
Insomma, se all’interno della nostra scatola cranica avessimo un guazzabuglio indistinto di impulsi elettrici in che razza di modo Kant avrebbe potuto scrivere la sua Critica della ragion pura? La postfazione di Maurizio Ferraris, illumina non poco (da par suo, pur caratterizzandosi in alcuni scostamenti di pensiero) il labirintico saggio di Dennett. In ultima analisi, i batteri non sanno di essere batteri, mentre noi sappiamo di essere uomini. E stiamo cercando di produrre la cosiddetta “intelligenza artificiale”.
Il tema è talmente attuale che alcuni aficionados troveranno in Dai batteri a Bach pane e tecnologia per i loro denti. Ancora: le termiti costruiscono i loro “edifici” spinti dal caso e dall’utilità. Gaudí, ideando la Sagrada Familia, ha prodotto qualcosa di straordinariamente simile ai termitai. Questi ultimi sono stati costruiti seguendo una “competenza senza comprensione”. Dennett spiega come proprio la massa di competenze generate durante l’evoluzione ci abbia portato qui: esseri in grado di “comprendere” la propria natura, di ripararsi e di ideare e generare qualcosa di simile all’intelligenza. Se mai riusciremo davvero, spaventosamente, a creare un organismo, più o meno meccanico e più o meno biologico, capace di pensare se stesso immerso in un ambiente comune.
In fondo la nostra natura è già una miscela di biologico e meccanico, risultato dei famigerati quattro miliardi di anni. E poi Turing (il geniale matematico che pose le basi dell’informatica), anch’egli necessario ai ragionamenti di Dennett: i computer non comprendono, e non devono comprendere le loro tecniche, e proprio per questo sono tanto veloci ed efficienti. Può darsi che la trasmissione culturale, una volta innescata, abbia prodotto neuroni “inselvatichiti”, suggerisce il filosofo, agenti di un’evoluzione più efficace, e inventrice di strumenti che ci illudono di possedere “coscienza” al solo scopo di prolungare darwiniamente la specie.
Al termine delle montagne russe di esperimenti mentali contenute nel saggio di Dennett, si deve convenire almeno questo: può darsi che un giorno si restituisca ai batteri il pianeta, e che la post-intelligenza da noi creata e da noi dipendente determini altresì (speriamo con prudenza) la nostra dipendenza da essa, ma di certo sarebbe buona cosa che Bach e i batteri continuassero a convivere.