Con il suo romanzo d’esordio Piccoli dèi, Meng Jin, scrittrice statunitense nata a Shangai, precipita il lettore fin dall’incisivo incipit nel crocevia tra la Storia e le storie, tra la realtà fattuale e le infinite possibilità dell’esistenza. Proprio la possibilità di altri mondi, di altri tempi, di altre vite vissute accanto – o dentro – la vita unica e lineare che siamo convinti di vivere, è il tratto più originale e ingegnoso che si insinua, con discrezione ma potentemente, tra le pagine di quest’opera a più voci, in cui ogni capitolo è affidato alla narrazione di un personaggio che offre la propria versione nella ricostruzione di quella che è stata la vita tormentata di Su Lan: dagli studi di fisica al matrimonio, dalla nascita della figlia a Pechino durante la terribile notte del 4 giugno 1989 – quando le proteste di piazza Tienanmen sfociavano nella feroce repressione che causò numerosissime vittime – al loro trasferimento definitivo negli Stati Uniti.
Alla morte della madre, Liya, cresciuta negli Usa senza memoria del proprio paese d’origine, decide di tornare in Cina per far luce sui molti aspetti ombrosi della vita di Su Lan. Tuttavia, come spesso accade, dalla ricerca di risposte nascono nuove domande, e così Liya si troverà suo malgrado imbrigliata nelle difficoltà che derivano dall’appartenenza a due mondi tanto diversi, dal persistente rapporto conflittuale con la madre, tanto amata da bambina quanto incompresa da adulta, dalla sottovalutata difficoltà di comunicare in una lingua che non è la propria.
Piccoli dei è una finestra aperta su un mondo e su un periodo cruciale per la Cina e per il suo rapporto con l’Occidente, e ci conduce con delicatezza stilistica tra i longtang di Shangai e nella campagna cinese dove la povertà estrema portava troppo spesso alla violenza e alla voglia di riscatto. All’interno di questo scenario cupo e dai contorni definiti, dove le vite delle persone scorrono dirette da obiettivi precisi e all’apparenza immutabili, Meng Jin introduce personaggi del tutto originali, grandiosi nella loro solitudine, dipinge caratteri atipici la cui genialità è destinata, nello scontro con il mondo reale, a trasformarsi in cocciutaggine.
Ecco quindi che attraverso l’ostinazione di Su Lan che insiste, pur allontanata dagli atenei in cui un tempo brillava, nello studiare le leggi della fisica immaginando una teoria capace di sovvertire le leggi che governano il tempo così come siamo abituati a conoscerlo, l’autrice costruisce uno spazio di sogno al contempo concreto e disperato, che conferisce a un romanzo già ben costruito ed equilibrato quel tocco magico che emoziona e trascina il lettore in un’intricata complessità di emozioni sussurrate in un linguaggio pulito ed elegante, e tuttavia sempre sul punto di lasciarsi andare a una potenza inarrestabile, proprio come le amate formule di Su Lan.
In Piccoli dèi i luoghi e gli oggetti presenti nella narrazione non si limitano a fare da sfondo, ma diventano i portatori di una fisicità poetica che a partire dai dettagli sa evocare la vita, o meglio le numerose vite che possono essere racchiuse in un solo corpo: “Sono incapace di riconoscere la persona che sono stato. Non dipende solo dal fatto che il mio corpo è cambiato. Ogni volta mi fermo a prendere le misure, non ho la sensazione di essere cresciuto, ma di essermi lasciato alle spalle i cadaveri di molti me precedenti”, afferma Yongzong, una delle voci narranti del romanzo.
E se è vero che ogni cambiamento implica una distruzione, può essere altrettanto vero il contrario: come un fuoco che bruciando trasformi il combustibile in energia, dalla distruzione potrà scaturire il mutamento, il rinnovamento della vita. Da questa prospettiva, anche la morte può essere intesa non come la fine, ma come una – infinita – possibilità.