Dopo una prima fase di assestamento – costellata da prove letterarie firmate da autori di prestigio internazionale quali Jonathan Coe o Ali Smith, insieme a opere di autori emergenti come Amanda Craig o Paul Mendez – la letteratura della Brexit (detta anche “BrexLit”, al di là della Manica) sembra aver fatto un ulteriore passo in avanti, uscendo dalle secche del dibattito culturale e politico più immediatamente ideologizzato e prospettando sviluppi più vari e maggiormente articolati anche dal punto di vista estetico.
È il caso di Lanny, secondo romanzo di Max Porter, dopo Il dolore è una cosa con le piume (uscito nel 2015 e tradotto da Silvia Piraccini per Guanda nel 2016) e prima del terzo libro, pubblicato quest’anno da Faber & Faber con il titolo The Death of Francis Bacon. Prima Emily Dickinson – Grief is the Thing with Feathers rovescia, o almeno chiarisce meglio, il noto verso dickinsoniano “Hope is the Thing with Feathers” (“La speranza è una cosa con le piume”) – e, a seguire, Francis Bacon: Porter, classe 1981, già direttore editoriale della rivista Granta e di Portobello Books, sembra mirare direttamente al cuore del canone letterario e artistico e, in Lanny, si muove a passi decisi anche verso il dentro della sperimentazione nel campo della narrativa.
Le continue e spesso inaspettate sfasature prospettiche, da una focalizzazione all’altra, e l’insistito ricorso all’eavesdropping – tecnica letteraria comunemente associata ad alcune correnti novecentesche ma che risale, con ogni probabilità, alle origini stesse del romanzo, poiché consiste nella finzione di origliare una moltitudine di voci, per strada o, in questo caso, in un villaggio dell’Inghilterra rurale, e riportarle tali e quali sulla pagina letteraria – sono soltanto le più evidenti, tra le varie strategie messe in campo da Porter.
Al netto di un ricorso, talvolta più superficiale che sostanziale, alle deviazioni moderniste, in senso lato, della norma tipografica, queste strategie concorrono in primo luogo alla moltiplicazione polifonica delle voci: dal punto di vista culturale e politico, ciò contribuisce anche a demistificare e, successivamente, a meglio elaborare l’immagine mediatica – in sé, già fortemente ideologizzata – di una Inghilterra divisa in “due Inghilterre” al tempo della Brexit, con una componente urbana e progressista pro-Remain e una rurale e conservatrice pro-Leave. Com’è noto, si tratta di una lettura dicotomica che risulta troppo semplificata a livello sociologico e politico, ma che è anche piuttosto povera dal punto di vista estetico, come sembra evidenziare anche la scrittura di Porter, con l’immersione di quel Lanny che è il personaggio principale della storia in una Bildung assai peculiare, a più riprese deviata verso soluzioni immaginifiche o, per contro, bene identificabili dal punto di vista materiale.
In altre parole, le differenze tra le due Inghilterre sono presupposti, esclusivamente ideologici, già presenti nel panorama culturale e politico dell’Inghilterra attuale: con essi si ha continuamente a che fare nelle esistenze dei singoli e delle varie comunità possibili, dalla dimensione internazionale e nazionale a quella micro-locale, ma tali presupposti non sono fattori completamente determinati all’interno delle singole esistenze, lasciando lo spazio per esiti anomali ed esorbitanti come quello che riguarda lo stesso Lanny.
Tale rapida analisi sembra rinviare ad almeno un riferimento certo, nella scrittura di Porter – insieme canonico e sperimentale – da rintracciarsi nell’opera complessiva, più che in un singolo titolo, di John Berger. L’attenzione per la storia rurale – a livello europeo, ma che può certamente includere, Brexit o non Brexit, anche quell’Inghilterra nella quale Berger ha vissuto la prima parte della propria vita – e la moltiplicazione cubista delle prospettive (tema ricorrente negli scritti d’arte di Berger) si unisce all’indagine bergeriana, tanto autoriale quanto teorico-critica, sul disegno: altra colonna portante del romanzo di Porter. In Lanny, però, questo cubismo si fa psichedelico, alternando, come si è già accennato, soluzioni più immaginifiche ad altre più immediatamente quotidiane.
Sorregge quest’impresa una lingua vivida e proteiforme, che ha probabilmente posto al traduttore, lo scrittore Marco Rossari, una sfida enorme – sfida che pare completamente vinta – nell’elaborare in lingua italiana una storia che, una volta acquisiti gli schemi ideologici, culturali e politici fondamentali della contemporaneità, li trascende continuamente e offre al lettore la seconda opera di un autore di sicuro interesse a livello non solo nazionale e britannico, ma anche internazionale.