Quale è esattamente il tema dello splendido lavoro di Mauro Covacich, uno dei più apprezzati romanzieri che dalla sua terra di confine, Trieste, si misura con uno scrittore il cui lavoro e la cui vita hanno costeggiato tutti i confini immaginabili, da quelli geografici a quelli sociali a quelli più intimamente personali? Il boemo che scrive in tedesco, l’impiegato delle assicurazioni che parla per metafore di un mondo sotto gli occhi di tutti ma inaccessibile, il solitario costruttore di labirinti reali o allegorici, lo scrittore che dopo aver dedicato una vita alla scrittura chiede che alla sua morte si bruci tutta la sua opera (in larga parte incompiuta, peraltro)… Kafka appare quasi inaccessibile all’interno del castello inaccessibile di una scrittura realisticamente surreale (o viceversa) e nelle contraddizioni che probabilmente nascondono una coerenza personalissima ma assoluta, una coerenza che deve essere lo scopo finale dell’artista, come Covacich riassume brillantemente: “La realizzazione di un immaginario dissidente, epurato dalla sovranità dell’io, dal suo narcisismo, dalla sua ottusa autoindulgenza”.
Soprattutto, Kafka impone a ogni scrittore una sfida infinita che non richiede soltanto l’acribia del critico puro (comunque necessaria), ma soprattutto una empatia che solo uno scrittore può avere. Covacich, dunque, ci presenta sì un sui generis “ritratto di Kafka” delineandone la vita e l’opera (significativamente, senza ordine cronologico bensì per temi e spunti) in rapporto alla necessità della letteratura, al “bisogno di libri che ci travolgano come una disgrazia […] un libro dev’essere l’ascia per il mare ghiacciato dentro di noi”. Incipit chiarissimo, il cui fine è perseguito con intelligente coerenza.
Ciò che Covacich ci dice su Kafka e la sua opera, da profondo conoscitore del praghese, è sempre funzionale a questa visione dall’alto e all’intento di scandagliare le profondità di un lavoro tanto complesso con i modi e i mezzi di chi fa della scrittura creativa uno strumento per comprendere la realtà: forse per venire a patti con la sua complessità e l’ineluttabilità di quel fallimento che il praghese tanto sentiva. Sotto la superficie, e l’adozione della prima persona ne è spia evidente, Covacich esplicita il rapporto tra sé e Kafka o, meglio, tra la sua scrittura e quella di lui. Ognuno dei brevi densissimi capitoli parte quindi da uno spunto testuale o biografico per darci straordinarie intuizioni sull’autore e, da lì, sulla scrittura. E infine, perché “la letteratura è utile, serve a dirci come stanno davvero le cose”, su noi stessi.
Franz Kafka (3 luglio 1883 – 3 giugno 1924)