Tanta è la strada percorsa dal genere giallo dalla metà dell’ottocento fino ai giorni nostri. Medesima è però, sin dai racconti ormai archetipici di Edgar Allan Poe, in quelle opere che si staccano dalla trivialità e dal compiacimento ai supposti gusti del mercato, la finalità per la quale uno scrittore decide di raccontare delitti e fatti di sangue: riflettere dall’estremo possibile, sulla condizione umana. Risultati interessanti negli ultimi anni se ne sono visti molto pochi, a fronte oltretutto della costante grandinata di titoli, e anche per questo è ancor più significativa l’uscita di questo romanzo che forse non è esagerato definire epocale di Maurice G. Dantec, musicista punk, scrittore e polemista, scomparso nel 2016, a poco più di cinquant’anni. Nonostante questo e altri titoli, come La sirena rossa e Babylon Babies, siano già stati pubblicati a cavallo degli anni duemila (da Hobby&Work), si può sicuramente sostenere che in Italia la sua personalità eccentrica e “fuori formato” deve ancora essere valutata appieno.
Uscito in Francia nel 1995, Le radici del male è un libro che, tenendo fermo il suo obiettivo – l’indagine su un mostro dei nostri giorni, sprofondato in un abisso di abiezione e di delitti – cambia diverse volte forma, punto di vista e anche oggetto, volendoci anche far misurare la difficoltà, nonostante gli avanzamenti tecnologici e lo sviluppo dei diversi saperi, di penetrare davvero nel profondo dell’animo umano. Le classiche figure degli ispettori di polizia alle prese con il rompicapo dell’indagine sono qui solo di passaggio, mentre ben più centrali risultano il dottor Stefan Gombrowicz, neuropsichiatra di valore mondiale, collaboratore dell’FBI in diverse indagini su assassini seriali, Svetlana Terekhovna, sua ex-allieva, “proveniente da quella misteriosa ‘scuola’ di psicologi-ipnotizzatori russi che aveva affascinato l’Occidente all’epoca della Guerra fredda”. Infine Arthur Darquandier, l’io narrante, neuroscienziato convinto che “L’uomo è sia una macchina per controllare il caos, sia un propagatore di disordine”. Ovvero, si può prevedere, utilizzando elementi statistici, l’andamento generale di una società, non i micro-comportamenti di ogni singola persona.
Cosa farne di queste devianze dall’andamento generale? Rimuoverle? Relegarle da qualche parte? Solo dall’incontro tra i diversi saperi di cui sono portatori i tre protagonisti si può pensare, sembra dirci Dantec, di poter davvero sapere qualcosa di utile su una personalità border come quella di Andreas Schaltzmann, la particella sfuggita al “controllo relativo”, allo schema dei comportamenti generalmente adottato dal corpo sociale maggioritario. La sua vicenda è raccontata a posteriori, ossia quando si è già completamente svolta la spirale omicida che l’ha portato a essere ricercato in tutta la Francia, ribattezzato come il “Vampiro di Virty-sur-Seine” dalla località nei pressi di Parigi dove ha vissuto nell’ultimo periodo della sua vita nella società.
“Andreas Schaltzmann si è messo ad ammazzare perché il suo stomaco marciva”. Inizia così il racconto di questo abominio contemporaneo, immergendoci sin dall’inizio nella sua aberrante vicenda umana. Nato nella Germania meridionale nella prima metà degli anni sessanta, Andreas è costretto a causa delle esigenze lavorative del padre, a cambiare spesso domicilio durante l’infanzia e l’adolescenza, un fattore che aggiunge caos e destabilizzazione ad una personalità fragile, minata continuamente dalle liti fra i genitori e dal disprezzo della madre che lo umilia e lo insulta ogni giorno. Alle intemperanze tipiche dell’adolescenza, Andreas aggiunge violenze compiute, a differenza dei suoi coetanei, da solo. All’età di vent’anni è ricoverato in un ospedale psichiatrico, dove viene a tal punto imbottito di psicofarmaci e droghe da ridurlo quasi all’incoscienza. Ripreso lentamente il controllo della propria vita, Andreas scivola lentamente nel gorgo più terribile, vittima di una psicosi che abbraccia quasi del tutto la sua vita, a parte quando, dopo aver ingurgitato un gran numero di pasticche, non scivola in un sonno simile all’abbandono di sé. Sviluppa la persuasione di essere braccato da un ordine alieno interessato a ridurlo, come ha già fatto con gli altri esseri umani, all’asservimento. “Il Mondo Così Come Era Presentato in Televisione proiettava un’immagine completamente falsa dell’umanità, spacciandola per una caotica costellazione di nazioni, mentre il globo subiva tutto insieme lo stesso giogo di ferro degli alieni schiavisti e dei loro complici terrestri, questo significava che nei fatti non esisteva alcuna frontiera. Il mondo era un solo vasto territorio, unificato dalle tenebre.” Compiute le sue efferate malefatte, lungo le prime cento pagine del libro, Andreas si spara in bocca, nei pressi del monumento ai caduti dello sbarco in Normandia, a Utah Beach. Non muore, lasciando al trio di scienziati protagonisti il compito di penetrare una così sfuggente moltitudine. Spalancando davanti al lettore un percorso molto più articolato e affascinante di quello di un thriller qualunque.