Nel vivace panorama del giallo italiano, che gode di ottima salute ancora dopo decenni di ininterrotto sviluppo, un ruolo particolare è quello delle case editrici specializzate, che com’è noto ricoprono l’importante funzione di promozione di talenti e di scouting per voci che talvolta riescono ad approdare a una distribuzione più capillare, dove godono della forza di propaganda dei grandi editori. Inoltre, scouting a parte, alcune di queste realtà coltivano una scuderia di autrici e autori in grado di fidelizzare il lettore, anche grazie a un discorso geografico che si estende oltre i luoghi consueti del noir italiano: Roma, Milano, Napoli, le anonime periferie delle grandi città, i luoghi del crimine.
La milanese Todaro vanta un catalogo di tutto rispetto e, soprattutto, di qualità. La collana gialla “Impronte” comprende ormai quasi cento titoli, che per praticità di ricerca sono classificati secondo diversi percorsi: Città in giallo, Storici, Giallo sociale, Noir, Femminile, e via dicendo, fino a Provincia italiana: è in quest’ultimo che troviamo La regola del rischio, ambientato sì nella provincia, ma non tanto “profonda” come ci si immagina di solito. Siamo infatti tra il Cusio, cioè il lago d’Orta, e la sponda occidentale del lago Maggiore, da Pallanza sino al confine svizzero del Canton Ticino, e oltre – lontano dal torbido di una borghesia delle arti e dell’industria che nutre l’immaginario un po’ voyeur di un’Italia da pagina di cronaca nera.
Anche Severgnini, come altri autori di gialli seriali, ha il suo detective-feticcio: Marco Tobia, ex poliziotto che si ricicla come investigatore privato quando la sindrome di Tourette, che lo affligge fin da bambino, torna a colpirlo nel momento cruciale di un’operazione, con conseguente involontario ferimento del collega. Tobia abita sull’isola di San Giulio, a centro del lago d’Orta (lo stesso dove vive l’autore), e presta la sua attività professionale nel Verbano-Cusio-Ossola, tra le acque dei laghi e le valli che si allungano fino in Svizzera. In questo romanzo (il secondo della serie di Marco Tobia, dopo La donna della Luna uscito nel 2018 per Meridiano Zero), il protagonista si incarica di indagare su una lavoratrice frontaliera arrestata nell’atto di entrare in Canton Ticino con una notevole quantità di stupefacenti. Lei si dichiara innocente, chiede aiuto all’amica Clara, che oltre a essere un’apprezzata escort (con tanto di laurea in tasca) è la compagna di Tobia. Questo è solo l’inizio di una vicenda intricata, la cui suggestione non risiede tanto nel meccanismo dell’indagine – che pure riserva qualche sorpresa originale – quanto nell’interazione tra personaggi e ambiente.
Il protagonista di Severgnini non è un detective geniale ma isolato – che so, un Isidro Parodi che risolve i casi mentre è rinchiuso in un carcere di Buenos Aires – bensì il centro di una “squadra” informale della quale rappresenta l’elemento determinante, il centro di gravità e la sua testa pensante: ma ognuno ha la sua funzione irrinunciabile.
Come ha scritto Domenico Gallo nella recensione a “La donna della Luna”: “Tra gli investigatori del noir italiano, Tobia è […] uno dei più fragili, sia perché la malattia può manifestarsi all’improvviso, senza sintomi premonitori, e impossessarsi di lui, sia per la scala di valori con cui costruisce i suoi rapporti umani: un disabile, un vecchio amico, una escort e una bambina”. È cosa diversa dall’investigatore anti-eroe alla Marlowe o alla Carvalho, come pure dalla genialità del detective novecentesco che dipana il puzzle grazie al riconoscimento della forma estetica del crimine, come Poirot, Maigret, Holmes – ma è al tempo stesso notevolmente distante dal fai-da-te dell’investigatore per caso, barista, medico, giornalista, insegnante, etc., che pure vivacizza il panorama del noir italiano.
Auspico che Severgnini insista sulla sua strada, perché l’isola di San Giulio, le strade pavimentate in pietra di Orta, le provinciali rivierasche e le statali contorte che si prolungano sino in Svizzera, sono già nel patrimonio “giallistico” dei lettori più attenti, con l’augurio che qualcuno scopra presto le potenzialità narrative di questo mondo sull’immaginario appartenente a pubblico televisivo italiano.