Siamo in Normandia in una notte d’inverno del 1091 – così racconta Orderico Vitale, scrivendo poco dopo il 1100, nella sua Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum – e Gualchelino, un prete che sta tornando a piedi alla sua parrocchia dalla visita al capezzale di un fedele ammalato, viene spaventato da uno strepito improvviso come il sopraggiungere di un grande esercito. Temendo un’incursione della masnada di Roberto di Belleme, che stava assediando Courcy, cerca precipitosamente un nascondiglio dove ripararsi, ma un gigante che brandisce una clava gli blocca il passo. Il prete si arresta all’istante mentre l’esercito gli sfila di fronte, non si tratta però di quello del temuto conte normanno: moltitudini di genti incedono lamentandosi, tra loro Gualchelino riconosce molti suoi parrocchiani morti da poco; e poi becchini che portano bare su cui stanno seduti dei nani ed Etiopi neri come il carbone che sorreggono un grosso tronco su cui è legato un uomo che urla torturato da un diavolo assiso accanto a lui. Gualchelino riconosce il dannato: un assassino impunito. Poi una schiera di donne – fra cui diverse nobili di sua conoscenza – a cavallo di selle irte di pioli infuocati che le penetrano e le impalano lacerandole e bruciandole; sfilano ancora chierici e monaci, vescovi e abati, molti dei quali ritenuti a torto sant’uomini, tutti ammantati di nero e gementi a chiedere preghiere; seguono squadroni enormi di cavalieri in groppa ai loro destrieri che inalberano vessilli neri, molti di questi sono famosi feudatari della regione morti di recente. Uno fra loro riconosce il prete e cerca di rivolgergli la parola per chiedere intercessioni ma viene interrotto e zittito dagli altri. Gualchelino ora ne è sicuro: ha incrociato la terribile familia Harlechini, la famiglia di Arlecchino, fantomatica apparizione già descritta da molti altri terrorizzati testimoni mai creduti da nessuno, Gualchelino compreso che ora deve ricredersi.
La disavventura di Gualchelino, che ne recherà il marchio indelebile sul corpo per il resto della sua vita, non termina qui, ma noi invece ci fermiamo preferendo lasciare il seguito della storia a quei lettori che vorranno seguirla sulle avvincenti pagine di Massimo Oldoni – storico medievista di fama internazionale e docente alla Sapienza di Roma e in varie università europee e statunitensi – lungo il percorso tortuoso e millenario che si rinnova fino a tempi relativamente recenti. Per esempio nella leggenda del Phantom Rider, ultima versione – western – dell’archetipo, con la descrizione della quale lo studioso apre la sua ricerca. In senso cronologico opposto invece la visione del corteo mortifero affonda nel passato remoto altomedievale e ancora prima nell’antichità pagana delle “cacce selvagge” nordiche, scandinave e celtiche. Gli esseri soprannaturali che affollano il “treno” notturno sono “masse attive di eserciti composti da vitali fantasmi affiancati da entità psicopompe, il cui ruolo è quello di accompagnatrici delle anime dei morti nell’oltretomba”. Che se ne attribuisca la guida a Odino/Wotan, a re Artù, a Carlo Magno, affiancati da etiopi, nani e giganti, animali, umani e meta–umani, in “treni apocalittici che attraversano l’Europa e che talvolta diventano processioni d’invocazione o di espiazione”, i protagonisti di queste escursioni nella terra di nessuno tra il mondo dei vivi e quello dei morti sono i biotanati, neologismo prima greco e poi latino risalente al III secolo, che definisce letteralmente il “morto di morte violenta”, che non trovando pace nell’Ade torna come vagante: “morti viventi” diremmo oggi, walkers, zombie. Ma, spesso associata e confusa ai nomi di dèi o di re mitici, emerge su tutti loro un’unica e multiforme entità ctonia: Helleking, Herlequin, Hollerkind, Hellequin, Hallequin, Arlequin, Hennequin, Harlequin. La stessa ambigua figura che sarà il dantesco Alichino dei Malebranche nelle Malebolgie del quinto cerchio dell’Inferno nella Divina Commedia e l’Arlecchino maschera della commedia dell’arte – che infatti Goldoni quando lo farà “servitore di due padroni” preferisce parafrasare in Truffaldino evitando di nominarlo direttamente. Progressivi viraggi dal terrore al grottesco, dall’urlo alla risata per lo stesso indecifrabile personaggio, il “re dell’inferno” – questo il significato del suo nome – o il “re dei morti” che, come le Furie degli antichi appellate con scrupolo apotropaico le Graziose, riveste la natura terrifica del demone sotto quella buffonesca e rassicurante dello zanni.
“Arlecchino è il Signore dell’Inferno, è il Signore dei morti, e la Famiglia di Arlecchino è nel Medioevo l’infinito treno apocalittico che, fisicamente o simbolicamente, attraversa tutto lo spazio di cielo e terra portandosi dietro figure di ogni ceto e di ogni condizione […] I secoli dell’età di mezzo sono il grande teatro di queste sofferenti presenze in cerca di pace. E le strutture di questo grande teatro della letteratura medievale sono le trasmissioni orali, le reazioni visive e le impressioni sonore. Tutto raccolto, poi, nei testi che fissano l’universo emotivo di questi incontri. La Famiglia di Arlecchino è un incontro possibile sempre per chiunque” (Oldoni, pag. 257).
E proprio ricercando e comparando attraverso questa innumerevole schiera di testi, alcuni ben noti, altri quasi sconosciuti (tutti riportati in originale in appendice al volume, in una silloge infinita di autori che include Tacito, Plinio il vecchio, Gregorio Magno, Bernardo di Chiaravalle, fino a Tietmaro di Merseburg, Hariulfo di Oudenburg, Cesario di Heisterbach, Desiderio di Montecassino, ecc.), Oldoni ricostruisce – facendo ricorso alle più svariate discipline, storiografia, antropologia, storia delle religioni, mitologia e attingendo a riferimenti iconografici e iconologici che spaziano dalla cultura medievale e rinascimentale fino a Il settimo sigillo di Ingmar Bergman o a certe canzoni di De André – l’immaginario della costante e abissale presenza che ci accompagna dalla più remota antichità fino alle soglie della modernità, in Europa, nel Nuovo mondo e oltre: Arlecchino, multiforme come le pezze colorate del suo costume di scena, e la sua spettrale e immensa Famiglia. Configurazione perpetua delle paure e dei rimorsi, delle angosce e dei turbamenti dell’uomo occidentale di fronte alla morte e all’ignoto.