Roberto Cimino esce di prigione dopo aver scontato la pena di vent’anni di carcere a causa di una rapina finita male, molto male. Ritorna nel suo quartiere, nella sua borgata. Lo preoccupa tutto quello che è cambiato nel frattempo. Non tanto gli affetti familiari di cui giustamente si fida senza nessuna remora. Ma tutto il resto. Neanche i fili d’erba sono rimasti gli stessi. Le automobili sono tutte diverse. Non ci sono più i VHS, le televisioni con il tubo catodico sono sparite, sostituite dal plasma e dai cristalli liquidi. I gabbiani hanno aumentato a dismisura il loro numero e l’ampiezza delle loro ali.
Roberto va verso il suo quartiere mentre la pioggerellina che lo accompagna sembra volerlo “lavare” dall’esperienza del carcere per restituirlo alla sua “vera” vita, alla sua “comfort zone”. Un luogo fondamentale per la storia sua e dei suoi amici. Luogo dell’anima e del corpo, è insieme cuccia e protezione, ma anche prigione e bunker. Comfort zone sono la casa, la borgata e il gruppo di amici. Luoghi di prigionia e di riparo.
Allora il lettore è chiamato a seguire le vicende di Roberto partendo dal fatto che la sua estraneità alla borgata attuale è la stessa di chi vuole seguire la storia. Roberto è quasi una guida. Novello Virgilio, conosce bene l’ambiente anche se deve aggiornarsi sulle ultime situazioni, ma pur sempre sapendo che le modalità di base della vita in quei luoghi sono rimaste molto simili. Egli inizia cercando di capire cosa può essere successo vent’anni prima. In che relazione si trovano i suoi vicini di casa e di borgata. Ma ben presto il discorso si farà più ampio e lo distrarrà da questo obiettivo.
Lo scenario è quello tipico delle periferie romane, tra capannoni industriali abbandonati, case sparse, discariche, sfasciacarrozze: abusivismo diffuso che politici e sociologi definiscono “di necessità”. Dappertutto una certezza: la mancanza della mano pubblica, dello Stato. Sul piano antropologico, molto diversamente dalle vecchie borgate pasoliniane, gli abitanti sono italiani, almeno in maggioranza, ma provengono dall’Eritrea, dalla Romania, dal Maghreb, dal sud d’Italia o da altri luoghi romani.
Siamo infatti a Roma. Ce lo dicono in modo inequivocabile i paesaggi della campagna romana, imbellita dalle eleganti vestigia della Roma antica e da una natura particolarmente rigogliosa. Ce lo dicono anche le vie consolari che dal centro procedono verso luoghi villeggiatura attraversando proprio quelle periferie di cui il libro parla.
Nel momento del ritorno a casa di Roberto Cimino, nel 2014, i ragazzi della banda locale sono impegnati in un ambizioso piano di conquista del controllo della borgata in cui vivono. Roberto, attraverso suo nipote Marco, entra in contatto con il gruppo. È forte della sua reputazione (in quartiere lo chiamano Robertone e negli ambienti più “importanti” si muove con il nome di Shangai). Da li si muoveranno le vicende che caratterizzano l’aspetto narrativo del libro facendo leva su due pilastri dalla vita dei protagonisti: la forza del gruppo (maschi e femmine) e la terribile ambiguità della comfort zone.
Se bruciasse la città è l’ultimo di quattro romanzi che Smeriglio ha pubblicato in undici anni di attività di scrittore. Il suo orizzonte narrativo sono stati sempre i quartieri popolari e le borgate, ma il modo di raccontare è andato maturando in modo visibile e chiaro. A torto o a ragione, i racconti sulle periferie negli ultimi anni si sono moltiplicati a dismisura. Ai libri si sono aggiunti le serie televisive e i film: tra questi ricordiamo almeno la bellezza e l’importanza del cinema di Claudio Calligari. Se nel primo libro, Garbatella combat zone (Voland) Smeriglio tentò la rappresentazione di un quartiere come luogo mitico quasi separato dal contesto urbano in cui si collocava, nel secondo libro, Suk Ovest, banditi a Roma (Fazi), l’autore decise di rappresentare la vita ai margini come caratterizzata quasi esclusivamente da attività criminali e spaccio di droga, riuscendo a imbastire una specie di western delle periferie. L’ultimo libro prima dell’attuale, Per quieto vivere (Fazi) è un atto di accusa nei confronti della gente comune disposta a tradire, a fare la spia e a vivere doppie e triple vite nel grande condominio di un quartiere popolare nella metà del secolo scorso. Oggi Se bruciasse la città rappresenta il salto definitivo verso una narrazione più letteraria e malinconica, in cui la speranza è scomparsa quasi del tutto e non assume nemmeno i tratti aggressivi di certa malavita. Smeriglio descrive meno che nei suoi precedenti libri. Fa parlare i suoi personaggi. Li guarda da lontano. Teme che la città possa fare la fine del degrado che egli fotografa. Non attribuisce nessuna epica alle gesta di quei ragazzi. Vede che la comfort zone è un luogo dove si sono rinchiusi tutti, borghesi e proletari. E la politica – teme – lì non arriva, nonostante egli continui attivamente a praticarla.