Non va descritta nel dettaglio la storia che Massimiliano Gollini racconta nel suo romanzo perché contiene una serie di segreti e di misteri che l’autore svela solo nel corso della narrazione. Che poi non solo di narrazione si tratta, perché il libro si avvale di una ricca documentazione tratta dal lavoro di ricerca di Gollini, che ha collaborato con l’Istituto Storico Parri, che di queste vicende si occupa da alcuni decenni.
Dunque romanzo storico, romanzo segnato da suspense, romanzo d’amore in cui la tragedia di Marzabotto, vista con gli occhi di Elena, la protagonista del racconto, viene indagata dal di dentro, con lo sguardo di chi ha visto e ricorda da vicino quanto di terribile accadde tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.
In quei giorni la vasta area intorno al paese, che comprende anche la zona di Monte Sole, Grizzana Morandi, Monzuno e altre piccole località dell’Appennino abitate da contadini e allevatori, fu rastrellata dalle SS, appoggiate dalla Wehrmacht e da militari italiani fascisti che indicavano la strada, servivano i tedeschi e facevano da interpreti.
Comandati da Walter Reder, l’ufficiale privo di un braccio, la truppa si accanì contro i civili, accusati di appoggiare i partigiani della brigata Stella Rossa attivi nella zona. I morti, dopo la carneficina, furono 1830. Un crimine di guerra per cui Reder fu giudicato da un tribunale italiano. Venne condannato per la strage di Marzabotto nel 1951 e nel 1954. Nel 1980 gli fu concessa la libertà condizionale con 5 anni di internamento nel carcere di Gaeta con la motivazione che “la criminalità di Reder era stata solo contingente e motivata dalla guerra, in cui si era mostrato un valoroso combattente”. Nel 1985 Bettino Craxi lo scarcerò, nonostante le proteste dei famigliari delle vittime.
Elena Beltrami, figlia di un padre fascista e con una madre che, pur criticando il marito, si adatta alla sua condizione di subalternità, partecipa ai combattimenti di Monte Sole. Come diventa partigiana? Qui l’autore mette in evidenza un aspetto importante dell’esperienza di tantissimi ragazzi e ragazze, per cui la presa di coscienza politica fu l’esito della partecipazione alla Resistenza, non la sua causa, secondo un percorso che va dall’azione all’idea: quello inverso è tipico solo delle avanguardie più politicizzate del movimento di liberazione. I ragazzi e le ragazze maturarono, quando lo fecero, delle idee politiche perché agivano e dovevano spiegare a se stessi i motivi che li spingevano a rischiare la loro stessa vita.
Per Elena è soprattutto la discriminazione ai danni della cara amica ebrea Albertina e la sua deportazione a farla decidere di entrare nella Resistenza. La storia di Elena è segnata dal grande amore per Odino, un orfano che vive in un istituto di carità e che dovrà partire per l’Etiopia alla conquista dell’Impero. Anche qui l’autore in modo originale ci mostra una contraddizione ben presente nella coscienza di tanti antifascisti, per i quali la rivendicazione delle terre africane era una cosa lecita. La persecuzione degli ebrei generava sdegno, quella dei neri non altrettanto. Contraddizioni di una mentalità tesa al cambiamento, ma ancora intrisa di idee inculcate dal fascismo.
Anche sul modo di condurre la lotta armata non c’è omogeneità d’azione tra i partigiani. Elena fa parte di un gruppo, chiamato il Branco, in cui le azioni vengono minuziosamente studiate e preparate. Nei giorni della strage di Marzabotto Elena si spende con i suoi compagni per avvertire i civili di scappare e di nascondersi perché i tedeschi stavano arrivando e difende le donne, i vecchi e i bambini dall’aggressione nazista. Scopre in una casa otto partigiani della gruppo Stella Rossa che si nascondevano per sfuggire al rastrellamento e li critica duramente perché non combattono in difesa della popolazione, che essi non prendono in considerazione poiché il loro obiettivo sono solo i tedeschi. Diversi modi di intendere la lotta partigiana, che avranno effetti determinanti sul giudizio e la memoria della popolazione nel dopoguerra a proposito della Resistenza.
L’aspetto più significativo del racconto è la descrizione della protagonista: Elena è una tiratrice scelta che spara con grandissima precisione e con mira infallibile. Non staffetta, non donna che “contribuisce” alla lotta, ma combattente in prima persona, stimata dal gruppo che le assegna compiti difficili proprio per le sue capacità militari nell’uso di fucili e pistole.
C’era bisogno della descrizione di quanto fecero le donne anche dal punto di vista dell’azione partigiana combattente per uscire definitivamente dallo stereotipo dell’azione di cura e di fiancheggiamento della lotta armata che fu il cuore del movimento di liberazione nel nostro paese.