Come definire (se “definire”, e ne siamo dubbiosi, sia espressione pertinente nell’accostarvisi) la natura poetica di un’opera che provoca – a detta della traduttrice Gioia Guerzoni, e mia) – “strano timore reverenziale” e che, in aggiunta, può divertire da matti se la si prende per il giusto verso? Un orientamento simile a quando si vedono certe immagini dei cosiddetti marziani, e maliziosamente viene voglia di sorridere più che fretta di rintanarsi sotto le coperte o fra gli scaffali della dispensa casalinga. Quanto conosce questi fenomeni, la poetessa Mary Ruefle, lo immaginiamo benissimo: la chiave sta anche nello sguardo sfoggiato nei ritratti fotografici, non soltanto nel fascino che prevale dentro l’universo parallelo di My Private Property e nelle Selected Poems verso cui bisogna correre immediatamente, con prenotazione “vintage” presso librerie caritatevoli ed eroiche, Amazon (non) permettendo.
Ruefle ci lega le mani dietro la schiena, capitolo dopo capitolo, come se non bastasse l’avventurarsi nel labirinto ordito dai 104 pezzetti dell’Eden privato dell’autrice, dove tutto può ritrovarsi tranne le certezze falsamente tramandate da genitori oppressi o dèi benigni nei confronti degli “esserini” umani. Che l’opera possa considerarsi luogo ameno è un azzardo che soltanto il passeggio nei territori della magia, e un certo disincanto amoroso, possono far valere qualche diritto: un mondo multidimensionale come quello descritto da Ruefle, ancorché privato, illustra in che modo l’innocenza possa convivere nelle precisioni velate di un “altrove” spesso intraducibile – ne sa qualcosa la nostra incommensurabile Guerzoni che a sfide simili è avvezza, ritrovandosi spesso vincente. Il senso delle Note del traduttore, in questo volume e in altri, è partecipativo d’avventure e giochi di spirito per niente trascurabili: vi si scovano gesti e storielle incastrati perfettamente nelle tematiche (e nelle poetiche) di autori/autrici tradotti.
Quando Ruefle ci regala indicazioni sui diversi stati della tristezza, che sono eventi coloristici uniti in maniera atavica a precise zone del corpo (i denti) e a materiali terrestri (le rocce), facilmente capiamo come tutto, ma proprio tutto, sia prodotto da infinite onde di infinite frequenze e che le nostre voci s’irradieranno per sempre fra le stelle e le galassie. L’uso della scrittura forse stanca, ma ancora non abbiamo trovato qualcosa di più piacevole o dirimente: in definitiva è straordinaria la capacità di Ruefle a far interagire l’umana quotidianità – compresi gli emozionanti amori e le anatomie sessuali, i cibi, i giocattoli, i fantasmi e le divinità, la poesia e l’alito cattivo, le spavalderie e gli scorni – con il magazzino delle cose cosmiche. Lavare i piatti dopo cena sembra molto simile alla verifica dei dati fuoriusciti dall’ultimo esperimento all’acceleratore HLC del CERN di Ginevra.
Visioni e riscritture vanno senz’altro d’accordo con condizioni felici e con allegorie dell’oscuro mondo, non si tratta di quanto sia verosimile o meno, ormai dovremmo ben sapere che la realtà non è quella che vediamo, e che ogni nostra funzione è parte di un sistema di onde generanti riletture e brividi. Qualcosa non va in queste immagini? Ribaltatele usando La mia proprietà privata in guisa di strumento tenuto in caldo, morbido e creato per elargire storie, racconti. Da un privato all’altro, il saltello è breve. E se ci si perde, bisogna essere arguti e “storici”, arrendersi alla vitalità locale e cosmica, non lasciando prevalere la chiusura delle frontiere psichiche. D’altronde (sempre Guerzoni) “ho capito, come in una sorta di epifania, che dovevo sospendere la logica. Esattamente come nella poesia”. La domesticità messa in campo e percorsa da Ruefle dà aria alle nostre giornate esasperate, non sappiamo se lo stesso accade alle sue ma dobbiamo meritarci queste impeccabili “cartoline” fuoriuscite direttamente dalla dimora di un’autrice che conserva tutte le immagini di sé nel tempo, e le fa lavorare: indefessamente.