«Chi pensa deve sempre rinunciare a vivere mentre chi vive non ha bisogno di pensare», scrive Marlen Haushofer delineando una dicotomia fondamentale fra chi è affetto da una sensibilità troppo acuta, e chi riesce ad agire senza porsi eccessivi problemi. Noi e la morte di Stella, pubblicato nel 1958, è un romanzo breve ma denso, capace di scavare a fondo negli abissi più reconditi della società borghese. Anna, la voce narrante, deve riuscire a portare avanti il compito che si è prefissata: scrivere della tragica fine di Stella, scrivere per esorcizzare la morte e per “riuscire a vivere in pace, senza paura e senza ricordi”.
Una confessione che non anela al perdono o al sollievo dell’anima, e per questo appare particolarmente dolorosa. Una morbosa sensibilità dei nervi affligge la protagonista. Persino il pigolio di un piccolo uccello, in vana attesa della madre, la disturba impedendole qualsiasi concentrazione. La morte di Stella ha creato una cesura. Anna sente di non comprendere più la natura, simboleggiata dal giardino esterno alla casa, di non essere più in sintonia con il mondo. Può stare solo seduta alla finestra a guardare fuori, attraverso i vetri sempre più opachi e appannati. Il senso di colpa la attanaglia. Anna è convinta che basti pensare una cosa perché questa accada; l’idea che il marito Richard avrebbe condotto Stella alla rovina è la causa dei tragici eventi narrati.
Anna, vittima dei continui tradimenti del coniuge, prova un’incomprensibile vergogna. Vorrebbe esprimere il proprio disappunto, ma non tollera le discussioni e le scenate. Qualsiasi tensione la rende inquieta per settimane. Fuggire per lei è diventato impossibile. La famiglia è un luogo inabitabile, fatto di amarezze e incomprensioni. Richard è un marito ottuso e possessivo, trincerato dietro una apparente rispettabilità, in realtà guidato da propositi immorali e da una sensualità sfrenata. Anna è convinta che qualcosa di perturbante sia accaduto anni addietro, qualcosa che le ha distrutto la vita per sempre. Anche i figli le appaiono estranei, distanti.
Haushofer, scrittrice austriaca per lungo tempo dimenticata, oggi di nuovo in auge per l’attualità della sua esperienza letteraria, riesce a trasmettere il senso di caducità dell’era moderna, la giovinezza esuberante, colma di promesse e di idee geniali, e il successivo declino in una isteria meschina e sterile. L’autrice descrive un mondo decadente e preda della disgregazione, nel quale il bene e il male vivono in orrenda intimità tanto da risultare indistinguibili. Il titolo originale, Wir töten Stella, ovvero “noi uccidiamo Stella”, appare ancor più crudo, un atto di accusa esplicito contro il conformismo e la crudele indifferenza di una società malata.