Può un libro essere altrettanto appassionante del film di cui narra le vicende? A leggere ’A pistola lasciala, pigliami i cannoli, di Mark Seal, la risposta è certamente affermativa. Pubblicato da Jimenez, editore attento a saggi sul cinema e opere letterarie di qualità provenienti dagli Stati Uniti, il volume in questione è davvero imperdibile per gli amanti della settima arte. Con intrigante stile narrativo, dovizia di testimonianze e acutezza d’indagine lo scrittore e giornalista segue in ogni sua fase (preproduzione, riprese, postproduzione, campagne promozionali, uscita, accoglienza), con illuminanti passaggi sui rapporti tra pagina scritta e sua trasposizione sullo schermo, la realizzazione di un film epocale, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario: Il Padrino, di Francis Ford Coppola, che dopo una tribolatissima gestazione uscì in prima mondiale al Loewe’s State Theatre di New York il 14 marzo del 1972.
Il libro si inserisce nella lunga scia di ricostruzioni – saggi, articoli, memoir, documentari – di quello che è considerato un autentico evento mediatico e culturale, avvicendatesi negli anni, tra cui la recente serie The Offer, disponibile sulla piattaforma Paramount+, che ne racconta la realizzazione dal punto di vista dello storico produttore Al Ruddy. Non è dunque impresa da poco districarsi in una selva così fitta di aneddoti e versioni divergenti e non di rado contrastanti. Armato di passione e certosina pazienza, al pari d’un tignoso segugio l’autore ha passato al setaccio una considerevole mole di informazioni, documenti, fonti scritte e orali, raccogliendo egli stesso testimonianze e memorie tramite lunghe conversazioni con i protagonisti di quel film. I produttori, il leggendario Robert Evans, “l’uomo che ha toccato la magia”, ex capo produzione Paramount, intervistato su un letto nella sua principesca residenza hollywoodiana, Woodland, e poi Al Ruddy, Peter Bart, Gray Frederickson); il regista Francis Ford Coppola, gli attori Al Pacino, James Caan, Talia Shire e tutta una serie di figure a vario titolo coinvolte nella lavorazione del film, riuscendo a confezionare il racconto forse definitivo di uno dei più rappresentativi capolavori del cinema americano e mondiale.
Seal non si limita alla mera storia di un film: la sua è la raffigurazione di un’epoca, un viaggio nelle pieghe (e nelle piaghe) della realtà statunitense, nel suo immaginario, nel cosiddetto American Dream. Ma è anche l’empatica narrazione di uno scrittore con problemi di obesità (Mario Puzo) che emerge da una deriva autodistruttiva per diventare l’autore più venduto al mondo, di giovani attori sconosciuti o non ancora affermati (Pacino, Caan, Cazale, Keaton) che assurgono a leggende, di un interprete mitico sul viale del tramonto miracolosamente risorto (Brando), di un visionario regista sempre sull’orlo del licenziamento e dell’esaurimento nervoso (Coppola) che per “una casualità celestiale” riesce a terminare il suo film, di talentuosi sceneggiatori, tecnici, artisti emergenti o veterani che per ventura non rimangono stritolati dal micidiale meccanismo delle produzioni hollywoodiane, mondo cinico e violento quanto la realtà con cui ci si dovette confrontare per realizzare Il Padrino: la mafia.
Non è dunque, questa, soltanto storia di attori, artisti e produttori, ma di criminali e capi mafia, di miseria e ricchezze inenarrabili, di bassezze morali e imperscutabili sensi dell’onore, di città strangolate dal crimine e dalla corruzione, di accordi inconfessabili, di deliri e frenesie collettive, di personaggi dalle biografie incredibilmente confuse con le vicende narrate nella finzione filmica e letteraria, sì da creare un affresco dove reale e immaginario si sovrappongono in maniera inquietante e affascinante, dove la fantasia agguanta la realtà rendendola sua ancella, poiché Il Padrino (il libro, e poi ancor più la sua trasposizione cinematografica) divenne “una sorta di bibbia per i veri gangster che si ritrovavano nelle sue pagine”, con “i mafiosi in carne e ossa che chiedevano a gran voce di entrare nel film”.
Seal riesce a trasmettere al lettore la sua sconfinata passione, deflagrata in un lontano giorno di marzo del 1972 quando nel buio d’una sala assistette “stordito”, come milioni di spettatori nel mondo, alla proiezione di un film che avrebbe cambiato la storia realizzativa, produttiva e distributiva della settima arte, “inaugurando una nuova era nel cinema americano”, come risulta evidente dalla palpitante ricostruzione di queste pagine. Un’opera che rischiò ripetutamente di non vedere la luce, la cui lavorazione fu costellata di litigi furibondi e scherzi spassosi, ricatti e riscatti, guerre sotterranee e lotte per i diritti civili, discese all’inferno e redenzioni. Un libro che in fondo racconta “il singolare incontro tra due delle più feroci potenze della Terra: i cineasti e la mafia”, un viaggio nella vita e nell’arte, nell’anima buia degli individui, nei sogni e negli incubi d’una nazione, narrato come un romanzo d’appendice dalla trama però ancorata alle fonti storiche – un viaggio percorso sulle vele dell’emozione e del ricordo.