Si avvia ormai alla fine il lavoro di traduzione e pubblicazione da parte di Minimum Fax degli ultimi testi inediti di Mark Fisher (1968-2017), l’intellettuale britannico che ha svecchiato sociologia e filosofia, fondando il Ccru – Cybernetic Culture Research Unit, vicino alle teorie dell’accelerazionismo, e la casa editrice Zer0 Books e pubblicando testi chiave per comprendere la contemporaneità: Realismo capitalista (Produzioni Nero, 2018), The Weird and the Eerie (Minimum Fax, 2018) o Spettri della mia vita. Scritti su depressione, hauntologia e futuri perduti (Minimum Fax, 2019). La sua prolifica e feconda attività di promotore e provocatore culturale come blogger – sotto il nome di K-punk, nel corso del primo decennio del 2000 – raccolta nell’originale inglese in un unico monumentale tomo, è stata più agevolmente suddivisa da Minimum Fax in quattro volumi ordinati tematicamente: il primo dedicato agli scritti politici (Il nostro desiderio è senza nome. Scritti politici. K-punk/1, 2020) il secondo a quelli di ambito cinematografico e televisivo (Schermi, sogni e spettri. Cinema e televisione. K-punk/2, 2021), il terzo a quelli musicali (Scegli le tue armi. Scritti sulla musica. K-punk/3, 2021) e il quarto e presumibilmente ultimo, questo appena uscito, agli interventi di argomento letterario più sei interviste, edite e inedite, e una selezione di riflessioni varie.
Con il consueto acume Fisher si sofferma sui testi narrativi e gli autori che più lo hanno influenzato e che ritiene seminali per la comprensione del mondo contemporaneo: non sorprende di trovare tra questi James G. Ballard a cui vengono dedicati molteplici pezzi di diversa lunghezza. L’opera ballardiana che sembra averlo segnato maggiormente è senz’altro The Atrocity Exhibition – quella più sperimentale ed estrema – la cui menzione ricorre in quasi tutti i suoi interventi, ma è notevole anche una lunga recensione a Millennium People, in cui il filosofo identifica la rivolta delle classi medie inscenata da Ballard nel suo romanzo del 2004, con la svolta conservatrice del New Labour Party di Blair, lo scatenamento della “linea di abolizione” di Deleuze e Guattari, secondo Fisher, cioè “la pulsione fascista alla distruzione che in fin dei conti rappresenta una pulsione all’autodistruzione”. Ugualmente interessante il confronto fra Ecco perché voglio fottere Ronald Reagan (sempre uno dei testi inclusi in The Atrocity Exhibition), con Una modesta proposta di Jonathan Swift e Il pasto nudo di William Burroughs, sull’uso della parodia e dell’enfasi satirica che – afferma Fisher riprendendo Baudrillard a proposito di Crash –conduce piuttosto in Ballard all’estrapolazione e alla simulazione: la satira apparterrebbe al “primo ordine di simulacri” di Baudrillard, una simulazione somigliante all’originale, Ballard entrerebbe invece nel “terzo ordine” con una simulazione della simulazione, cioè un abbattimento della distanza tra simulante e simulato. Così anche il rapporto fra il romanzo Crash di Ballard e la sua versione filmica di Cronenberg, letto alla luce di Helmut Newton nello iato fra erotismo deviante e pornografia hardcore.
A Ballard segue David Peace, altro scrittore sperimentale ed estremista: Fisher, che pure conosce e cita dettagliatamente il Red Riding Quartet (il Saggiatore, 2017), si concentra soprattutto su GB84 (il Saggiatore, 2012), romanzo sugli eventi dello sciopero dei minatori nel 1984-85, in cui legge “la traiettoria storica dal fordismo al postfordismo” e la sconfitta inevitabile dell’estrema sinistra parallela alla dissoluzione musicale del post-punk: è l’inizio della restaurazione, l’anno del Live Aid. Ancora amoralità e postmoderno parlando di Patricia Highsmith e del suo personaggio più famoso, Tom Ripley, per diffondersi più avanti in un serrato approfondimento sull’anticapitalismo di Margaret Atwood, di cui apprezza L’ultimo degli uomini ma non il seguito, L’anno del diluvio, entrambi comunque considerati inferiori a Il racconto dell’ancella e ad altri due romanzi particolarmente cari a Fisher, Tornare a galla e Occhio di gatto. Infine l’affascinante lettura del tema della marionetta e della bambola nelle storie dell’orrore seguendo il Thomas Ligotti del saggio filosofico La cospirazione contro la razza umana (il Saggiatore, 2016), in relazione al Pinocchio di Collodi e al ciclo di film d’animazione Toy Story.
Nelle interviste e nelle altre riflessioni, Fisher torna ad approfondire concetti fondamentali da lui delineati in proprio o sviluppati sulla scorta di altri pensatori: l’iperstizione ripresa dall’accelerazionismo del suo maestro scivolato nell’Alt-Right, Nick Land; l’hauntology riconsiderazione dell’Hantologie (fantasma/ossessione e ontologia) parola-macedonia coniata da Jacques Derrida nel suo libro Spettri di Marx del 1993, che per Fisher e per il suo sodale Simon Reynolds assume il senso di “nostalgia per il futuro perduto”; l’ampliamento della nozione fisheriana più celebre, il realismo capitalista, e l’anticipazione prospettica di una visione che il pensatore britannico non ha purtroppo mai avuto tempo di precisare compiutamente, quella del comunismo acido; infine il testo più doloroso e commovente, in cui l’autore rivela con disarmante sincerità la patologia che lo avrebbe condotto al suicidio, la depressione che lo affliggeva fino dall’adolescenza: Buono a nulla, è il titolo, in cui vengono ripresi e sviluppati concetti già affrontati in Realismo capitalista: “Da molto tempo, ormai, una delle tattiche più efficaci della classe dirigente è stata quella della responsabilizzazione. Ogni membro della classe subordinata è spinto a credere che la propria povertà, mancanza di opportunità o disoccupazione sia colpa sua. Le persone sono più propense a dare la colpa a se stesse invece che alle strutture sociali…”.
L’ideologia dominante della società capitalista contemporanea è diventata il cosiddetto volontarismo magico, “la convinzione che possediamo tutti il potere di trasformare noi stessi in ciò che desideriamo”, effetto e causa del crollo attuale del livello di coscienza di classe: “È l’altra faccia della depressione […] siamo tutti sostanzialmente responsabili della nostra sofferenza e quindi ce la meritiamo”. Il messaggio finale di Fisher ai suoi lettori, però, è un appello che rende ancora più amara la sua uscita di scena volontaria, è la giustificazione ultima di tutto il suo pensiero, che resta in sostanza positivo e pieno di speranza: “Inventare nuove forme di coinvolgimento politico, rianimare istituzioni in declino, trasformare la disaffezione privatizzata in rabbia politicizzata: tutto questo è possibile”.