Sulla copertina dell’ultima raccolta di racconti di Simone Consorti campeggia un serpente avviluppato intorno a un crocefisso di legno. Se questo dato si unisce alle possibili suggestioni del titolo – giocato su una lugubre rivisitazione della formula “vi dichiaro marito e moglie” – si potrebbe pensare a un’antologia di racconti macabri, magari – si potrebbe supporre – macabri fino al rischio del kitsch.
Non è così. La presenza della morte è riconducibile, più che altro, alla sua presa costante sul racconto breve, e in generale su qualsiasi narrazione, in senso benjaminiano, e questa è una materia che viene trattata da Consorti in tutta la sua ampiezza e delicatezza. Sembra più interessante leggere la raccolta di racconti dell’autore alla luce dell’altro elemento incluso nel titolo, quel marito che introduce, per la via stretta della metonimia, la lunga sequela di personaggi maschili presenti nel libro.
I protagonisti, e soltanto in qualche raro caso i deuteragonisti, dei dieci racconti antologizzati sono, infatti, ragazzi e uomini, variamente posti di fronte a una situazione di crisi e in cerca di una possibile strategia di uscita. L’impresa non è sempre vittoriosa, come hanno messo in luce altre recensioni del libro, a causa, soprattutto, del “disastro comunicativo” che attanaglia questi personaggi nei loro molteplici tentativi di esprimere una posizione, rispondere a una domanda o aggirare un interdetto. Ne esce un ritratto caleidoscopico della mascolinità contemporanea che talvolta sfiora, senza mai raggiungerli, gli estremi di una mascolinità aggressiva e rivendicativa – ultimamente ridefinita come mascolinità incel – o la riproposizione dell’inquietante figura del pigmalione – quest’ultima, peraltro, sempre di moda, purtroppo… In ogni caso, tutte queste figurazioni della mascolinità sono sempre trattate con equilibrato distacco, attraverso la mediazione di voci narranti non di rado capaci di uscite autoironiche, o comunque in grado di mostrarsi nella loro complessa ambivalenza.
Altrettanto altalenante è lo stile adottato, dove a una più generale e arguta sobrietà – forse memore di quell’Andrej Platonov, scrittore sovietico amato da alcuni raffinati autori (per esempio John Berger) che potrebbe essere nascosto in uno dei personaggi minori di Consorti, dal nome di Igor Platonov – si mescolano talvolta momenti di grande sintesi lirica e forza gnomica, talvolta passaggi che contraddicono, e senza troppi patemi, l’aurea massima del show, don’t tell.
Tra le punte forse più alte della raccolta, in fondo, si trovano quei racconti – come Portare il cuore di un santo e Il prescelto – che deviano dalla traiettoria generale dell’antologia, nella sua proposta di un campionario dolente di umanità e, in particolare, di mascolinità, per puntare verso il territorio della distopia politica. Quasi a testimoniare l’ineluttabile scontro di ogni narrativa tradizionale, più o meno sofisticata, e di ogni indagine psicologica e culturale con un sempre più poderoso spirito dei tempi.