Nel 1981 veniva pubblicato per Laterza La giungla e il grattacielo, saggio di critica letteraria del docente Mario Maffi, sorta di Bibbia per gli americanisti (per lo meno di quelli che considerano la letteratura ancella del divenire storico e non crociana idealità destoricizzata) e gli appassionati di narrativa statunitense. Il libro ebbe una seconda edizione nel 2013 con Odoya, ed è ora giunto alla terza, pubblicata da Shake, con una revisione completa del testo, l’aggiornamento della bibliografia, due capitoli aggiuntivi e una chiosa finale; soprattutto, un nuovo, battagliero titolo: Da che parte state. “Which Side Are You On?” è un emblematico inno del proletariato angloamericano, composto da Florence Reece – organizzatrice sindacale, figlia e moglie di minatori – nella primavera del 1931, nel corso di un lungo e cruento sciopero nelle miniere di carbone della Harlan County (Kentucky), durante il quale lo Stato e il padronato ricorsero a ogni mezzo, legale e illegale, per piegare la lotta dei lavoratori. Tra le sue tante “riprese”, ricordiamo quella di Ken Loach, che nel 1984 lo usò come titolo del suo documentario sul drammatico sciopero dei minatori inglesi in piena età “thatcheriana”.
La scelta di Maffi ha dunque un gustoso sapore militante, che ancor più si carica di significati in un momento storico di conclamata globalizzazione e di diffuso disimpegno, di “resa senza condizioni” da parte degli intellettuali a un potere sempre più solido e protervo. Nell’introduzione, l’autore la motiva così: «Mi è sembrato che l’ormai celebre verso di Florence Reece fosse ancora più appropriato a un libro che tratta del modo in cui, a fronte di un acuto e incessante conflitto sociale dispiegatosi negli Stati Uniti nei decenni tra la fine della Guerra civile (1965) e il 1920, un congruo numero di scrittori e scrittrici presero posizione da una parte o dall’altra: chi a favore delle lotte proletarie e chi contro, chi con titubanza e chi con decisione, e chi in difesa del sempre risorgente “Sogno americano”; e lo fecero con un corpus sorprendente di opere, di importanza non secondaria per la scena letteraria statunitense, oltre che per l’evoluzione dei singoli autori delle singole autrici».
Dunque, lo studio affronta quasi un sessantennio di storia letteraria statunitense, nel lungo arco temporale che, dopo la sanguinosa guerra intestina, vide gli Stati Uniti uscire dall’infanzia e affermarsi progressivamente come potenza planetaria; periodo in cui, “fra slanci travolgenti e strappi dolorosi, proiezioni in avanti e nostalgie del passato”, la società americana rielaborò la propria identità adattandosi all’affermarsi del “vincitore capitalismo industriale”. L’abbondante fioritura letteraria di quel lasso di tempo, fertile e variegata seppur di non sempre eccelsa qualità, è non poco interessante da indagare (e da leggere), anche perché originò dalle acute contraddizioni che segnarono quell’epoca, da cui gli scrittori trassero spunti materiali riorganizzandoli “secondo coordinate ideologiche complesse”, rispecchiando una serie di trasformazioni socio-culturali: «la definitiva sistemazione nazionale, l’evolvere travolgente del sistema industriale con l’affermarsi di nuove tecnologie, la diffusa urbanizzazione, il passaggio da una cultura popolare ancora legata a dinamiche proprie dell’epoca della frontiera a una cultura di massa». È l’epoca dei robber barons (i “baroni predatori”) e della Gilded Age (l’“Età dorata”), della poderosa industrializzazione e della nascita del proletariato (e sottoproletariato) americano, di nuove forme di oppressione degli ex schiavi neri e dei poor whites (“bianchi poveri”), della saldatura tra la nuova classe dominante (la borghesia industriale) e quella antica del Sud (proprietari terrieri e schiavisti). A tutto ciò è dedicata la prima parte del libro, dal suggestivo titolo “In cerca dell’America”.
La seconda (“In cerca di radici”) si sofferma sugli anni compresi fra la nomina di Theodor Roosevelt a Presidente della nazione nel 1901 al ritiro dalla scena politica di Woodrow Wilson nel 1920: periodo passato alla storia come “Età delle riforme”, o “Epoca progressista”, etichette che celano una politica mirante a rafforzare e definire l’imperialismo americano “per gettarne tutto il peso sulla scena mondiale”. Anni altrettanto duri, percorsi anch’essi da violenti scontri sociali e di classe (una nuova “scoperta” per la nazione), che videro la nascita del Partito socialista americano e di alcune importanti sigle sindacali, i grandi processi del dopoguerra a socialisti, anarchici, militanti operai, radicals e pacifisti, gli albori del movimento comunista statunitense, la famigerata Red Scare (l’isterica paura del bolscevismo).
L’ampio canone letterario recuperato e analizzato da Maffi riflette con vigore le fratture, gli aneliti, le contraddizioni e i conflitti sociali del periodo in cui vide la luce. Riverbera nelle pagine degli autori più interessanti un vero e proprio affresco d’epoca, che, aldilà dell’effettivo valore letterario, si rivela fonte preziosa di documentazione socioculturale, mettendo a nudo i sogni e gli incubi, le tensioni e il rimosso di quel tempo. Ecco dunque il realismo letterario di fine Ottocento, la letteratura della frontiera e quella utopica, il romanzo western, il local color, il dime novel (“romanzo da quattro soldi”, riferito al costo irrisorio delle copie) e le fruttuose contaminazioni tra i generi narrativi, gli scrittori della classe operaia, il fenomeno del muckraking (il giornalismo di denuncia). E gli autori, solo per citarne alcuni: William Dean Howells, Horatio Alger (il creatore del mito del from rags to riches: “dalle stalle alle stelle”), Mark Twain, John William De Forest, Hamlin Garland, Francis Brett Harte, Edward Bellamy, Theodore Dreiser, Frank Norris, Stephen Crane, Jack London, Upton Sinclair, Mary E. Wilkins Freeman, John Reed, Ernest Poole, Zane Grey, Sherwood Anderson; le tematiche ricorrenti nei loro romanzi, la volontà di denuncia delle ingiustizie sociali, della corruzione dilagante, del potere immenso dei conglomerati affaristici e dell’alta finanza, i legami oscuri tra questi e la politica, le novità del costume, le utopie e i bagni ghiacciati della realtà proposti dalle loro opere.
Ma le evidenze forse più interessanti di questo saggio riguardano le dinamiche economico-politiche e socio-culturali del periodo storico in questione, le strutture profonde del corpus narrativo e degli scrittori analizzati, le interazioni consapevoli e inconsce tra l’individualità degli autori con l’infosfera sociologica e ideologica in cui essi vissero e operarono, le contraddizioni, i contrasti e le incoerenze che ne segnano le pagine – qui il discorso critico si fa sopraffino, e tocca la materia rovente del “Sogno americano”, dei miti identitari fondativi (in progressiva riformulazione e riadattamento) di una nazione, che affondano nei tempi remoti delle colonie che poi diedero vita agli Stati Uniti d’America.
Non è un passato sterile quello dissepolto da Maffi. La produzione letteraria presa in considerazione non è stagione morta e conchiusa, ma “funse da vera e propria serra” per gli sviluppi successivi, fu linfa che dopo gli abbacinanti anni Venti e la tragica crisi del 1929 diede vita alle opere e all’impegno di grandi scrittori quali Steinbeck, Dos Passos, Caldwell, Wright e tanti altri meno noti o sconosciuti, e non solo degli anni Trenta del secolo passato. Perché la letteratura, il magma culturale, sono fiumi carsici che prima o poi riaffiorano a ricordarci chi siamo, come e dove procediamo, strappando il velo alle menzogne prefabbricate dalle ideologie degli apparati di potere. Studiare le dinamiche di quel tempo lontano, anche istituendo una comparazione con l’oggi, ove è in atto il tramonto delle democrazie borghesi e una drastica ridefinizione ideologica e valoriale delle società e degli individui in senso antiumanistico, risulta non solo fruttuoso, ma operazione intellettuale indifferibile. E perché – come conclude l’autore di questo fertile studio – la storia continua, e bisogna sempre scegliere da che parte stare.