Se cercate un romanzo con uno stile scoppiettante e raffinato, se vi piacciono i passaggi virtuosi e memorabili e se non potete fare a meno di autori che vogliono stupirvi con effetti speciali, questo non è un libro per voi. Mario Maffi non è alla sua prima prova ma Quel che resta del fiume è il suo primo romanzo. Professore di cultura anglo-americana all’Università Statale di Milano, conosce bene le tradizioni e gli usi di queste civiltà, tanto da aver pubblicato diversi libri e saggi su New York, Londra, sul fiume Mississippi, su scrittori e cultura americana. Non è difficile immaginare, quindi, che il romanzo sia ambientato in queste zone, oltre che nella Louisiana, New Orleans e dintorni, Los Angeles e Kansas City. La conoscenza profonda di questi luoghi, e non solo geografica, fa sì che non sembri affatto che sia un autore italiano a narrare la storia: preciso nei dettagli dell’ambientazione, attento nella costruzione, con un impianto narrativo studiato e riuscito, l’autore ci parla di affetti. Diversi ma profondi, che se ne vanno e ritornano, che perdiamo per sempre, che ci aiutano e deludono, che ci entusiasmano e deprimono, che ci accompagneranno comunque durante tutta l’esistenza.
E sono i fiumi, che ci troviamo a Londra o in America, a dettare il ritmo della storia. Impetuosi e inarrestabili alla loro sorgente, come le amicizie e gli amori che nascono, più miti e riflessivi quando perdono parte della loro forza. E alla foce, quando l’acqua dolce si mescola al mare, sembra sia il tempo delle riflessioni. L’autore ci parla di razzismo, di odio per la diversità – la tanto sbandierata “devianza” della nostra destra –, della ricerca di un proprio compimento lasciando da parte tutto quello che si era costruito, di quello che si può perdere o acquistare inseguendo la propria identità.
Diverse vicende si intrecciano: amicizie che si perdono, quella tra la voce narrante Rhys Campbell, scrittore e Sal, disegnatore, insieme ad altre che si conservano a dispetto del passare del tempo, lutti che sembrano non poter essere superati, abbandoni, divorzi, nascite di nuovi amori, momenti bui e il ritorno a una serenità che non può essere completa a causa delle tragedie vissute che rimarranno ferite non rimarginabili.
L’autore si muove con autorevolezza, con uno stile compatto e solido, senza cadute di tono e con una scrittura che sembra quasi sussurrata. I personaggi vengono descritti con precisione e profondità, introspettivamente, animi diversi toccati da vicende umane che cercano, spesso insieme, di superare. La vicenda prende il lettore e l’orizzonte della storia è ampio come capita di rado di leggere nei romanzi degli scrittori italiani: uno dei limiti più evidenti della narrativa nostrana, a mio parere. La trama si snoda chiara e senza intoppi, una vicenda che porta a divorare le pagine fino arrivare a una conclusione, sulla foce del Tamigi, sulla quale il lettore, chiusa l’ultima pagina, non potrà che riflettere. Pagine che rimangono impresse nella mente.