Un commissario di polizia “linguacciuto e disobbediente”

Marilina Giaquinta, Non rompere niente, Euno edizioni, pp. 260, euro 16,00 stampa

Tutto è calmo nell’isola dove lavora Anastasio Ventura, un commissario di polizia “linguacciuto e disobbediente” che il Ministero ha spedito in quelle lande desolate e magnifiche ad aspettare la pensione. Tutto è calmo e solenne. Il mare innanzitutto, che avvolge e accarezza l’isola di cui sembra aver preso possesso in via definitiva. Tutto è calmo e ha un sapore mistico, come il sole che illumina, domina, e ammonisce i piccoli abitanti della terra. Tutto sembra essere calmo e forse senza senso quando improvvisamente, ma non del tutto inaspettatamente, un’incrinatura grave turba questo equilibrio metafisico: il crimine fa la sua apparizione e si inizia a indagare, a cercare di capire perché.

È all’interno di questo schema simbolico e materiale che si svolge il romanzo di esordio di Marilina Giaquinta, catanese, dirigente superiore della polizia di stato in pensione.

Giaquinta va così a infoltire la linea delle scrittrici italiane di romanzi polizieschi che costituiscono quasi la maggioranza rispetto ai loro omologhi maschi ma che non sempre sono visibili. Vengono in mente Grazia Verasani, Marilù Oliva, Alice Basso, Danila Camastri, Patrizia Rainaldi, Giorgia Lepore, Elisabetta Bucciarelli, Ben Pastor, Lorenza Ghinelli. Francesca Bertuzzi, Lorenza Ghinelli, Diana Lama e diverse altre.

Oltre a questo tratto distintivo, che può solamente aiutare lettori e librai a collocare correttamente il libro di Giaquinta nella parte giusta dello scaffale, c’è un altro elemento che vale la pena sottolineare. Giaquinta fa parte di un gruppo di scrittrici siciliane che abitano in diverse città della nostra penisola e che ultimamente hanno dimostrato una grande vitalità creativa. Queste donne hanno messo in luce sensibilità comuni intorno al tema della lingua e della scrittura, ma anche a quello dell’ancoraggio delle vicende umane in luoghi nascosti, ancestrali, profondi dell’esistenza che rimangono imperscrutabili se non a prezzi altissimi.

Si pensi a Tea Ranno con le sue escursioni nel mondo dell’al di là. A Nadia Terranova nella sua ricerca di “dialogo” con il padre deceduto quando lei era giovanissima, alla bravissima Viola di Grado di Fuoco al cielo (Nave di Teseo, 2019), a Elvira Seminara che maneggia le categorie del tempo e della materia con rara perizia.

Torniamo allora a Gianquinta che si lancia coraggiosamente in voli linguistici assai più arditi dello smaliziato Camilleri e che, da poliziotta diventata scrittrice, senza perdere l’identità di partenza.

Nel libro, un personaggio, Maria, sembra assumere il ruolo dell’alter ego della scrittrice. È lei che si assume la responsabilità del linguaggio, che non è solo fatto esclusivo della relazione con il Commissario, ma che diventa facilmente linguaggio di tutta la narrazione.

È la scrittrice ad affermare che Maria “faceva apposta a parlargli in quella lunga astrusa, ammischiata col dialetto, che a volte manco lei capiva, lei che ne era la cagliostra, lei che ha sempre pensato che le parole non sortìano dalla testa, ma le fa il cuore, perché quelle escono piene di sentimento, urlano, balbettano, tremano, piangono, arridono. Anche quelle che parono pensate sono del cuore”.

Nel libro si oscilla continuamente tra la dimensione letteraria con cui sono trattati i personaggi e l’organizzazione narrativa delle vicende criminose e/o delle indagini.

L’effetto è gradevole. Il lettore sente di potersi abbandonare alle piccole discussioni di gente comune in un’isola non certo affollata. Sorride di fronte alle posizioni burbere del commissario di polizia, ma poi, improvvisamente, è chiamato al suo dovere: sta leggendo un romanzo poliziesco! Qualcosa è capitato. Bisogna risolvere la situazione e trovare il colpevole!!!

Ma quando la lettura volge a termine rimane un retrogusto originale e assai particolare. I personaggi e le loro vicende umane, i paesaggi che fanno da contorno, l’isola, il mare, il sole e la luna, la notte e il giorno si propongono tutti in una dimensione mai definitiva, mai solo “tecnica”.

Dove trova questa originalità Marilina Giaquinta? Lo scopriamo leggendo la sua biografia dove si rende evidente che le sue prime fatiche letterarie sono state tutte dedicate alla poesia. L’arte fondante di ogni creazione che evoca concetti e stati d’animo e aiuta a coltivare una sensibilità per la quale le cose non “accadono” semplicemente ma sono la conseguenza di una serie di percorsi.

Un’intervista a Marilina Giaquinta si può trovare su L’estroVerso

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