Difficile da credersi, ma c’è stato un tempo in cui la televisione di stato assolveva ai suoi obblighi istituzionali di informazione e formazione dei cittadini, di diffusione ad ampio raggio della cultura e dell’arte, intese in ogni loro forma. Frammisti agli spettacoli di più pura evasione, i palinsesti della tanto vituperata Rai annoveravano infatti una programmazione incentrata sul sapere, nel migliore dei casi abilmente miscelata con un aspetto ludico, o comunque di svago.
Per fare un esempio della micidiale parabola degenerativa cui abbiamo assistito, almeno nell’ultimo quarantennio, riguardo alla qualità delle produzioni Rai: in quella che è l’attuale collocazione – la fascia preserale – del programma L’Eredità, nel 1985 andava in onda una trasmissione destinata a lasciare il segno nella storia televisiva del nostro paese e nell’immaginario di quanti seguivano le proposte della TV pubblica: Parola mia. Autentico viaggio fra i tesori e le insidie della lingua italiana, il format ideato, presentato e portato al successo da Luciano Rispoli era composto da tre rubriche che suonavano come uno slogan culturalmente militante: “Conoscere l’italiano”, “Usare l’italiano”, “Amare l’italiano”, e offriva al pubblico generalista un’occasione unica per approfondire questioni o dirimere dubbi sull’idioma nazionale. Il sapiente impasto di cultura e spettacolo proposto dal famoso giornalista con un garbo e un’educazione oggi inimmaginabili, si rivelò vincente. Rispoli dimostrò che in televisione cultura e intrattenimento non sono mutualmente esclusivi: non solo possono coesistere, ma sono in grado di raggiungere ampi settori di pubblico.
Ebbene, se possiamo rievocare un’epoca – già peraltro ampiamente intaccata dalla cialtroneria astuta di crassi imbonitori e dall’esempio nefasto delle tv berlusconiane – in cui lo stile, l’eleganza e le buone maniere erano elementi imprescindibili del piccolo schermo, è merito anche del grande conduttore calabrese, scomparso nel 2016 dopo una vita interamente dedicata a una inestinguibile passione, quella di realizzare programmi che appunto non solo intrattenessero il pubblico ma contribuissero alla sua crescita culturale, in qualche modo alla sua formazione intellettuale.
Per non lasciar naufragare nell’oblio questa notevole figura cui tanto devono spettatori e addetti ai lavori, il giornalista e scrittore Mariano Sabatini ha dato alle stampe il volume Ma che belle parole! Luciano Rispoli. Il fascino discreto della radio e della TV, edito da Vallecchi. Forte di anni di collaborazione professionale e di frequentazione amichevole con il garbato e signorile showman, Sabatini ne ripercorre la carriera, soffermandosi sulle tante trasmissioni, radiofoniche e televisive, partorite dalla fervida mente di Rispoli, delle quali pochi conoscono la reale paternità. È il caso ad esempio de La Corrida, cui è legato il nome di Corrado Mantoni, e di Chiamate Roma 3131, clamoroso successo destinato a rivoluzionare i palinsesti della Rai e non solo, grazie all’intervento in diretta degli ascoltatori. Geniali creazioni, per cui vale davvero l’evangelico motto Réddite quae sunt Caésaris Caésari.
Altri seguitissimi appuntamenti contribuiranno poi a portare nelle case degli italiani la presenza affabile e rassicurante, mai banale, di Rispoli: Il gioco dei mestieri, Parliamo tanto di loro, e il primo talk-show televisivo, L’ospite delle due, del lontano 1975, che proponeva un parterre di ospiti scelti tra i volti più noti e interessanti dello spettacolo e dello sport, e che poté vantare indici di gradimento ragguardevoli. Erano le prove generali del futuro Tappeto volante, altro fortunatissimo cavallo di battaglia che vedrà la luce negli anni Novanta.
Nella sua lodevole ricostruzione Sabatini ci informa che, divenuto direttore nel 1977 del Dipartimento scuola-educazione della Rai, Rispoli varò anche una serie di rubriche di notevole impatto socio-culturale, tra cui Intervista con la scienza, per tornare presto al format prediletto, quello basato sulla conversazione, stavolta conviviale, con personaggi celebri: nacque così Pranzo in TV, antesignano del già citato Parola mia, forse la sua creazione di maggior successo e che ancor oggi molti ricordano con grande nostalgia. La carrellata prosegue con altre trasmissioni, ma il sapido racconto di Sabatini è punteggiato anche da aneddoti ed episodi tratti dalla vita privata di Rispoli, da quelli più dolorosi come l’uccisione del fratello Luigi, partigiano, e la morte improvvisa della sorella Maria Luisa, agli avvenimenti lieti, come le nozze celebrate da Padre Pio e la nascita dei figli, fino ai rapporti a volte burrascosi con i colleghi, alcuni dei quali, in seguito divenuti celebri, furono scoperti e lanciati proprio dal conduttore, fra cui Raffaella Carrà, Maurizio Costanzo, Paolo Villaggio.
Il ritratto che esce da queste gradevoli pagine è ironico e commosso, pur se obiettivo e circostanziato, venato dal filo del rimpianto: lo stesso che proviamo noi, a distanza di decenni, per un protagonista indiscusso della storia radiotelevisiva e del nostro costume, consapevoli come siamo di essere sprofondati in un declino lastricato di volgarità e pressappochismo, vizi da cui il buon Rispoli fu decisamente immune. Un degno omaggio, dunque, per celebrare i novant’anni che avrebbe compiuto lo scorso mese, da festeggiare magari in un elegante salotto, con l’inconfondibile loquela garbata e il gesto misurato che tanto mancano ai programmi televisivi odierni.