Accostarsi a un libro come Amor di gloria, saggio di Maria Pace Ottieri pubblicato da nottetempo, significa abdicare alle aspettative e lasciarsi condurre dalla sapienza dell’autrice lungo un itinerario niente affatto scontato. Parole, luoghi, figure del mito e della storia, della letteratura e dell’attualità costituiscono i tasselli del mosaico che qui si compone, intorno ai molteplici significati di cui la gloria si è caricata nel tempo e nelle diverse culture.
In un tempo in cui “il nostro vocabolario è diventato troppo povero per esprimere la complessità della nostra esperienza”, è ammirevole lo slancio con cui si costruisce in queste pagine un’intera inchiesta attorno a una sola parola, che nel presente sbiadito, peraltro, è incorsa in un evidente svuotamento semantico: il vigore dell’eroismo bellico, che nella cultura del passato faceva derivare dal paradigma militare un’etica condivisa, oggi non rappresenta più un valore, tanto che il termine “gloria” è stato ridimensionato nel più frivolo senso di una “celebrità fai da te”.
Una prima cesura è rappresentata senz’altro, nel XX secolo, dai due conflitti mondiali, che, con “l’immane dispiego di potenza delle armi industriali e tecnologiche”, hanno di fatto contribuito a vanificare “il valore individuale dei soldati”: così Ottieri spiega il tramonto dell’universo eroico nel mondo occidentale. A ciò si aggiunga quel cambio di prospettiva in virtù del quale, nel secolo scorso, è stata restituita la voce a chi fino a quel momento non l’aveva avuta, le vittime, considerate finalmente i veri destinatari del dovere della memoria. Nell’era delle masse, dunque, sono gli sconfitti ad assurgere allo status di eroi: si tratta tuttavia, a ben vedere, di una collettività senza nome, composta da everyday heroes, non più capaci di imprese impossibili, ma in possesso di virtù che chiunque sarebbe in grado di esercitare. “Un eroismo fantasmatico fatto di gesti eclatanti viene scalzato, nel mondo contemporaneo, da un eroismo quotidiano, sobrio, discreto”, argomenta l’autrice.
E oggi? Se il cinema aveva inventato le star, dagli anni Ottanta i reality show hanno offerto “un inesauribile serbatoio di aspiranti alla fama facilmente sostituibili e che non costano niente: ballerini, cantanti, cuochi, esploratori improvvisati, attori da tempo dimenticati, personaggi minori della mondanità, aristocratici a rischio di estinzione”. Non aspirano a una gloria che sconfigga la morte, loro e i loro follower, ma al successo e al piacere hic et nunc. E ai giorni nostri sui social chiunque può ambire ai suoi 15 minuti di celebrità, senza alcun bisogno di fare sfoggio di doti eccezionali, senza la necessità di una luce demiurgica che li elevi prima di lasciarli nuovamente sprofondare nell’abisso da cui, per caso, sono emersi.
“A furia di smontare il significato e la pratica di parole come onore, rispetto, lealtà, coerenza, abbiamo perso di vista il modello di bene a cui si dovrebbe tendere”: nelle pagine finali, dedicate alla riflessione sulla lingua, Ottieri ci consegna la lezione altissima di questa sua inchiesta, che si distingue per l’originalità nel panorama editoriale. “Se è il linguaggio ciò che fa dell’uomo un essere politico, tanto più grave è la sua rinuncia a parole come onore e gloria, che suggerivano una tensione all’ulteriore”, conclude con intensità l’autrice. Allenandoci a muoverci con consapevolezza tra secoli, culture e significati, abituandoci a mettere a fuoco non solo luci e ombre del contemporaneo, ma anche le mille sfumature che lo animano, potremo forse davvero “tener testa con immaginazione, audacia, coraggio alle immani sfide che abbiamo di fronte”, per “allargare il cerchio dell’esistenza – dentro, e non fuori di noi”.