Bastano poche pagine per appassionarsi a un’autrice come Maria Fernanda Ampuero. Per entrare nel suo mondo al tempo stesso crudele e riparativo. Crudele per i passaggi a volte quasi insostenibili in cui la tensione provocata dalla violenza estrema evocata dalla scrittura dilaga nella nostra mente facendo corto circuito con parti quasi inaccessibili della nostra esperienza di vita.
Riparativo perché lo sguardo della scrittrice restituisce giustizia alle vittime che mette in scena. E lo fa chiamando anche noi dentro ai suoi testi per condividerli e renderci partecipi, e non semplici lettrici o lettori della trama. Guardami! Guardalo! Guardale!, ripete ossessivamente Maria Fernanda Ampuero in “Biografia”, il primo dei racconti che compongono la raccolta Sacrifici umani.
Guardami perché solo così io arrivo, finalmente, a esistere. Un io che deve essere inteso come il pronome collettivo costituito dalle sue personagge, un soggetto plurale ripreso mentre emerge dalla storia della violenza patriarcale che ogni cosa travolge.
E veramente lo sguardo di Ampuero illumina come uno spot di luce bianchissima zone in ombra, sospese tra una vita che è già morta, “carne per il macinato”, e vite morte che chiedono di continuare a esistere. Guardatele – ci ingiunge Ampuero – anche loro hanno il diritto di essere celebrate. Vite migranti, vite di donne che cercano senza spesso trovarla, un po’ di luce. E che si muovono nelle ombre di interni scuri, case serrate come tombe in cui si agitano ancora o si risvegliano le esistenze evocate dalla scrittrice, esistenze mostruose che cercano di sfuggire al dolore, all’abuso, all’abbandono.
Gli spazi interni sono, assieme alle donne, i grandi coprotagonisti dei racconti di Maria Fernanda Ampuero. Come precisa in un’intervista[1], “la casa è il luogo in cui si soffre di una sindrome di Stoccolma molto brutale poiché vuoi che i tuoi rapitori ti amino e tu ami loro. Tutti dicono che è un peccato non amare i propri rapitori, qualunque cosa facciano o qualunque cosa dicano, anche se esercitano su di voi tutti i poteri distruttivi che i genitori possono esercitare. Le storie si svolgono dentro gli spazi della casa, dentro le quattro mura proprio perché mi sembra una rocca diventata sacra. Detesto sacralizzare le cose. Penso che il sacro possa facilmente, in un batter d’occhio, diventare totalitarismo e degenerare. (…) Non ho mai conosciuto in vita mia una famiglia non colpita da questa putrefazione e anche così, ci perdoniamo, ci sediamo a mangiare insieme a Natale, ridiamo e ci facciamo regali a vicenda”.
È violentissimo l’attacco portato al cuore della famiglia patriarcale da Ampuero – “L’istituzione più grassa, omofoba, razzista, classista, xenofoba è la famiglia” – che non ci risparmia nulla. Anche se un sussulto di speranza a volte riesce a scattare, perchè – devo ammetterlo – una scena mi ha fulminato nei racconti di Ampuero, la visita al circo di un bambino che entra in una tenda e….
Entrare in una delle tende e vedere il testone per la prima volta. Arricciare il naso per lo spaventoso odore di merda. Coprirsi la bocca con il fazzoletto. Resistere alla nausea che fa risalire in gola il pesce non digerito e riempie gli occhi di lacrime. Guardare il testone, guardarlo bene. Lasciarsi guardare da lui. Domandare che cosa succede a quel bambino, perché lo tengono tra i maiali e il loro sudiciume, dove sono i suoi genitori.
In “Freaks”, il racconto di Ampuero che chiude Sacrifici umani, il ragazzino scappa di casa e torna alla tenda del circo, torna per rubare quella testa e restituirle la libertà. Fratelli in fuga che si uniscono mentre l’acqua solleva una schiuma iridescente, così bella da abbagliare.
Ampuero, nata in Ecuador nel 1976, ha vissuto anche in Spagna e Messico; giornalista e scrittrice, nel 2019 è stata nominata responsabile del piano nazionale per il libro e la lettura del Ministero della cultura in Ecuador. Dopo alcuni libri pluripremiati è divenuta una voce rilevante nella letteratura latinoamericana sulla quale ha idee molto precise:
L’Ecuador in generale ha sempre avuto buone autrici che, come nel resto del mondo, sono stati messe a tacere e rese invisibili perché potere e cultura erano nelle mani degli uomini. Non possono farlo oggi, anche se Dio sa se ci provano, perché il femminismo ha fatto esplodere le cantine in cui ci tenevano rinchiuse e ora è impossibile non ascoltarci. Fatta eccezione per Pablo Palacio, credo che i grandi autori della nostra storia siano le donne e noi ecuadoriani siamo parte del processo che sta coinvolgendo tutta l’America Latina per far rivivere le assassinate dal machismo letterario. Do loro tre nomi: Lupe Rumazo, Sonia Manzano e Alicia Yánez Cossío.
Come anche sui premi letterari e le scrittrici:
Sul Premio Cervantes dico solo questo: cinque donne in quarantaquattro anni. Invece di proporre un nome, quello che propongo è che cambino la composizione della giuria e il modo in cui vengono proposti i possibili vincitori [2].
Anche il canone della narrativa sudamericana ha dunque espunto le donne come ben dimostra il successo letterario mondiale della letteratura sudamericana negli anni Settanta, ben povero di scritture a firma di donna e proprio per questo definito un “boom al testosterone”. Boom che sembra ora ripetersi al femminile, visto l’interesse “vorace” che le scrittrici sudamericane nate tra gli anni Settanta e gli Novanta stanno ricevendo dai media e dall’editoria, come sottolinea Fernanda Melchor, autrice di Stagioni di uragani (Bompiani):
Le case editrici vogliono pubblicare le donne, e i lettori vogliono leggerle. Nell’avvicinarsi a queste voci, c’è un interesse genuino. Ma non so se si possa davvero parlare di boom femminile, perché questo significherebbe paragonare la situazione presente a un fenomeno letterario che si è verificato più di mezzo secolo fa. Se prendiamo in considerazione il fatto che, attualmente, ci troviamo di fronte a una congiunzione spettacolare di scrittrici provenienti da diversi Paesi e da diverse generazioni, e che producono opere di notevole qualità e di risonanza internazionale, sì, potremmo dire che si tratta di un fenomeno similare. Ma ci sono anche varie differenze: le scrittrici attuali, per esempio, non privilegiano il romanzo come mezzo espressivo: ci sono anche autrici di racconti, saggiste, croniste. E nonostante ci sia una determinata congiunzione politica orientata verso il femminismo e la lotta per la parità tra uomini e donne, non c’è una tale unitarietà di prospettive politiche ed estetiche come c’era negli anni Sessanta tra i signori del boom[3].
Tirando le somme, autrici come María Fernanda Ampuero “sono il volto attuale di un’ampia genealogia di scrittrici che, indipendentemente dal fatto che si siano posizionate pubblicamente o meno come femministe, producono da decenni un’abbondante opera letteraria che incorpora il pensiero critico femminista, rivela e denuncia la violenza e oppressione dei sistemi di dominio e offre alternative per la trasformazione”[4].
E in molti di questi romanzi e racconti firmati da autrici sudamericane si insinua una vena fantastica, che accumula tra orrore e presenze fantasmatiche una sua ripetuta presenza. Sarebbe quindi forse giunto il tempo di mettere mano a una storia del fantastico sudamericano di mano femminile[5] a partire per esempio dalla scrittrice Silvina Ocampo, componente spesso in ombra del triangolo che diede vita all’Antologia della letteratura fantastica, antologia seminale nata nel 1937 dalle menti di Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e appunto Silvina Ocampo. Perché molto si sta pubblicando in Italia ad opera di case editrici grandi e piccole ma manca ancora la visione d’insieme che, al di là di qualsiasi facile esotismo e delle differenze storiche, sociali e letterarie che segnano i vari paesi, dia conto di un fenomeno divenuto rilevante anche nella nostra editoria.
[1] http://www.latinamericanliteraturetoday.org/en/2019/november/existence-strangest-happiness-interview-mar%C3%ADa-fernanda-ampuero
[2] Maria Fernanda Ampuero, “Los grandes autores de Ecuador son mujeres”, El Pais, 30 luglio 2019. Traduzione mia.
[3] Riportato in Fabiana Scherer, “El nuovo boom latinoamericano: las escritoras marcan el rumbo”, La Nacion del 12 giugno 2021. Trad. it. di Gaia Biffi in granviamagazine.it.
[4] Pilar Iglesias Aparicio, “Misoginia y Violencia contra las mujeres en Luto y Pasion de Fernanda Ampuero, in Escrituras y escritoras (im)pertinentes: narrativas y poéticas de la rebeldìa, Madrid: Editorial Dykinson, S.L. 2021, pp. 97-108. Traduzione mia.
[5] Ci aveva provato nel 2006, l’ispanista Maria Cecilia Grana, con l’antologia Tra due specchi. 18 racconti fantastici di scrittrici latinoamericane, Roma: Fahrenheit 451, ma le autrici appartenevano tutte alla prima metà del XX secolo.