Nel Nord della Siria, in Rojava, nel luglio del 2012 la popolazione insorse, si ribellò al regime di Assad e all’opposizione egemonizzata, dopo la primavera siriana, dai fratelli mussulmani fedeli a Erdogan che ben presto avrebbero agito sotto le bandiere dell’Isis. A proteggere e guidare queste popolazioni fu la minoranza di origine curda con le Unità di Protezione del Popolo (YPG) e le Unità di Protezione delle Donne (YPI): sconfissero i fondamentalisti, e da allora difendono e sviluppano la rivoluzione federalista, democratica e femminista del Rojava, da Kobane a Raqqa.
La rivoluzione del Rojava è anche storia italiana: in centinaia dal nostro Paese l’hanno sostenuta materialmente e in moltissimi l’hanno discussa, condivisa politicamente e si sono riconosciuti in una rivoluzione che cerca di modificare in senso libertario il paradigma classico delle rivoluzioni del Novecento, promuovendo il federalismo piuttosto che la conquista dello Stato, il decentramento, la sostenibilità ambientale, l’uguaglianza di genere, la diversità e il pluralismo.
Fra gli italiani che hanno partecipato alla rivoluzione del Rojava Leonardo Orsetti, morto in Siria nel 2019 combattendo l’ISIS, e Maria Edgarda (Eddi) Marcucci che è stata combattente internazionalista in Kurdistan ed è l’autrice di Rabbia proteggimi. Scrive Marcucci: “La loro è una rivoluzione che trasforma le relazioni sociali ed economiche, che riscrive il ruolo delle persone nella società, anzitutto delle donne e delle giovani. È una forza che va oltre i confini di uno Stato, perché lo sfruttamento e la prevaricazione vanno cancellati al di là dei confini artificiali e imposti, perché questa forza si alimenta grazie alla convivenza dei popoli, all’uguaglianza tra mille differenze”. E aggiunge una cosa molto bella: quella rivoluzione si nutre di hevalti, di amicizia. Eddi riconosce però che una rivoluzione di quella portata, che vuole cambiare un’intera società nel bel mezzo di una guerra in cui si scontrano interessi di molte nazioni e imperialismi, è una cosa molto complessa e per niente lineare o indolore.
Proprio in questi giorni in Svezia è stato arrestato Zinar Bozkurt che rischia di essere estradato in Turchia in nome dell’accordo che Erdogan ha imposto a Svezia e Finlandia (Paesi in cui ci sono molti rifugiati curdi) in cambio della loro richiesta di entrare nella Nato dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Erdogan, inoltre, al solito gioca su due tavoli e il 19 agosto ha accusato gli USA di fomentare il terrorismo curdo attraverso l’invio di armi alle YPG. Nella stessa occasione Erdogan ha anche ricordato che la Turchia è in costante contatto con Mosca per “la lotta al terrorismo nel nord della Siria”
Rabbia proteggimi parla di questa esperienza, sicuramente straordinaria, ma Eddi non si presenta affatto come una eroina, non ha timore di mostrare le proprie fragilità e scrive che nonostante la scelta di unirsi alla lotta delle donne curde sia stata la migliore della sua vita, non si tratta di una scelta individualistica ma il frutto di una crescita collettiva: “Non sono stata io ad aver fatto certe scelte. È l’incontro con certe scelte che ha fatto me”.
Scelte che in quella che lei chiama de-migrazione – per distinguerla giustamente da altre migrazioni ben più drammatiche come ad esempio quelle che attraversano il Mediterraneo – l’hanno portata a lottare in Val di Susa contro la Tav, nei centri sociali, contro la precarietà del lavoro e del reddito, nei gruppi femministi di Non Una di Meno. Parla anche di sé e della sua famiglia, una famiglia scelta, di affetti e amicizie, che nel libro trovano un posto speciale grazie ai fumetti disegnati da Sara Pavan.
La rivoluzione del Rojava entra di prepotenza anche nelle aule dei Tribunali italiani in inchieste e processi a solidali che, come scrive Davide Grasso (uno degli inquisiti) sul suo profilo facebook, “avevano dato il proprio modesto contributo per la difesa della Siria e del Kurdistan”. Maria Edgarda Marcucci viene condannata nel 2020 a due anni di sorveglianza speciale con l’obbligo a stare in casa dalle 9 di sera alle 7 del mattino perché ritenuta “socialmente pericolosa”. Una buona parte del libro è un resoconto dettagliato – utile per chi non conosce la sua vicenda personale – di questo processo per tanti versi surreale.
Per condannare Eddi, preventivamente e in assenza di ogni reato, il Tribunale fa ricorso al codice Rocco di epoca fascista. Vi ricorda forse il film Minority Report in cui le persone venivano condannate preventivamente? Sì, lo ricorda, e dice molto delle garanzie democratiche del nostro ordinamento giuridico. Una condanna politica senza dubbio, ma – come rileva giustamente Marcucci in questo libro – lei, unica donna fra i 5 indagati, è anche l’unica persona su cui si danno giudizi lombrosiani e al limite dello psichiatrico: “…e poi l’avete vista Marcucci, col suo passo marziale, quell’andatura aggressiva…” è il commento di un giudice prima della sentenza di condanna del Tribunale di Torino.
Una donna dal passo marziale e andatura aggressiva è sospetta, ha qualcosa che non va, come evidentemente c’è qualcosa che non va nelle donne del Rojava quando imbracciano il fucile per difendere la popolazione e la rivoluzione. Anche l’essere giovane e bella è un modo per toglierle la parola: un giornalista italiano risponde a Eddi – che vorrebbe puntualizzare una sua intervista – che è “carina” e quindi quel che dice è secondario. È lo stesso rilievo fatto da una parte del femminismo (fra le quali la curda Dilar Dirik) sul fascino orientalista delle combattenti curde: l’immagine delle giovani e belle donne curde, veicolata dai media occidentali, rischia di strumentalizzarle come simboli della liberazione occidentale in un oriente che a sua volta viene dipinto come barbaro. Alle semplificazioni poliziesche nella quali la magistratura vuole forzosamente ricondurre la vita della Marcucci, Eddi risponde con la rabbia – un principio vitale volto all’esterno – che dà forma all’indignazione per le ingiustizie e supporta la sua militanza transnazionale come ricorda la bella poesia che chiude il volume.