Credo che fosse d’obbligo, specialmente dopo la sua prematura scomparsa, che qualcuno si prendesse l’onere e l’onore di commemorare Claudio Lolli, uno dei punti di riferimento della mia generazione e non solo. Il cantautore bolognese non era una persona facile, un misto di coerenza e militanza che ha accompagnato tutta la sua carriera e la sua vita privata. Privato che ha sempre cercato di mantenere riservato e lontano dalle sue composizioni ma che, leggendo i pochi aneddoti riportati nel libro, si è incrociato inevitabilmente ai suoi testi. Amante della letteratura e della poesia, laureato in lettere, in possesso di una cultura universale che non ha mai ostentato, sarebbe stato facile cadere nel retorico e nella mera celebrazione, ma Marco Rovelli, l’autore, non è caduto nel tranello, essendo un’artista che conosce molto bene Lolli. Personalmente ho assistito ad almeno una dozzina di suoi concerti, avendo modo spesso, nelle ultime esibizioni, di scambiare quattro chiacchiere con lui a fine spettacolo trovandolo sempre disponibile. Il suo rapporto con il pubblico, durante gli anni, è cambiato. All’inizio si presentava sul palco, cantava i pezzi in scaletta senza dire una parola (era la canzone il suo metodo espressivo) per poi successivamente interagire con gli spettatori, spesso esibendo un senso dell’ironia che chi lo definiva, a torto, un cantautore triste, non si sarebbe aspettato. Io suonavo con la chitarra tutte le sue canzoni, che conosco ancora a memoria, ho scritto un racconto che si intitola Ho visto anche degli zingari (in)felici per un’antologia in cui ogni autore doveva parlare della canzone che gli aveva cambiato la vita. Lo conoscevo bene, quindi, e con lui e con la recente scomparsa di Franco Battiato se n’è andato anche un pezzo di me.
In tutti questi anni, dal 1972, con l’esordio di Aspettando Godot – il richiamo beckettiano è palese – fino all’ultimo struggente Il grande freddo, album uscito in crowfunding aggiudicandosi il Premio Tenco come miglior disco del 2017, il cantautore bolognese ci ha raccontato i mutamenti dello scenario socio-politico: ha parlato d’amore e di lotta, senza mai innalzare una bandiera ma battendosi sempre contro le ingiustizie che hanno attraversato il nostro paese. A modo suo. Senza compromessi. In posizione contraria e ostinata. Dalla parte del torto. Ci sono pezzi che sono veri e propri manifesti contro l’illegalità dilagante, atti di accusa contro i tentativi di eversione e contro lo smantellamento dello stato di diritto fatti dal terrorismo di destra e dallo Stato, di un femminismo estremo. Il punto più alto l’ha raggiunto con Ho visto anche degli zingari felici, un album che ha rotto con la tradizione dei cantautori per la struttura musicale e la vivacità dei suoni. Parla della strage dell’Italicus avvenuta nell’agosto del 1974, progettata dai servizi segreti italiani e messa in atto da terroristi neri. E della speranza forte di una sinistra presente e di corpo negli anni Settanta, messa fuori gioco dalle stragi di Stato con il concorso della destra estrema, per poi passare a cantare il declino di un sogno che sembrava a portata di mano, distrutto dall’avvento di Reagan e della Thatcher: personaggi che hanno smantellato lo stato sociale dell’intero Occidente.
E non ci poteva essere scelta migliore di far parlare i suoi amici, i fratelli musicisti con i quali Claudio divideva il compenso di un concerto senza ammettere eccezioni, i personaggi delle sue canzoni, e con molta riservatezza i suoi affetti più cari, la moglie e i figli. E da ognuno di loro vengono fuori lati diversi del cantautore e del Lolli privato, che poi messi insieme assumono una coerenza impressionante. Così come il ripassare la sua produzione artistica ci fa capire come qualche dettaglio, qualche aggancio a testi passati, ci possa essere sfuggito. Per esempio, che Anna di Francia è anche la protagonista di Non aprire mai. Alla sua amata moglie, Marina, ha dedicato canzoni, come Tutte le lingue del mondo, e un bellissimo romanzo d’amore, Lettere matrimoniali, che non è stato il suo unico prodotto letterario.
È un percorso politico e sociale quello che Lolli ha creato con le sue canzoni, che ci ricorda cosa eravamo e cosa avremmo potuto fare, forse con nostalgia e con un po’ di rimpianto per non esserci riusciti. E anche se lui se n’è andato le sue canzoni rimangono, pezzi di diamante che arricchiranno ancora le nostre esistenze. Continueremo ad ascoltarle, tutte, e a cantarle con lui. E a sentirci passare un brivido lungo la schiena all’attacco del sax di Ho visto anche degli zingari felici.
Ciao compagno Claudio. E grazie.