I fantasmi del futuro, dal secondo dopoguerra del Novecento, sono montati in fretta per ogni dove e per ogni anima abitante il pianeta secondo macchinazioni irreparabili, talvolta geniali e volubilmente cattivanti: un futuro che, il più delle volte, non evitava tragedie epocali, invasioni aliene multiformi, terrificanti disastri ecologi per acqua, siccità e estinzioni massive. A un certo punto esportammo addirittura su Marte la peste umana, al termine di un’avventura che avrebbe dovuto essere meravigliosa. Nei nostri tempi – definiti in svariati modi – quelle visioni si sono accentrate in una specie di “schermo ubiquo” suppletivo del mondo reale, con miliardi di schermi affiliati, schermetti e monitor usurpanti tasche, scrivanie, strade metropolitane, e perfino occhiali. Scrive bene Marco Malvestio: quello che accade nel mondo, dalle Twin Towers a Venezia sommersa, dalle guerre in Medioriente al terrorismo, si confonde con le visioni già viste nei film hollywoodiani e giapponesi: pellicole nel frattempo trasformate anch’esse in impianti digitali pervasivi. La confusione è grande, Dick e Ballard forse se la ridono dall’aldilà, il più ecumenico Bradbury un po’ meno, ma tutti noi viviamo tracolli finanziari e epidemici mentre assistiamo a decine di Serie TV distopiche come esseri insani alla mercé di contagi psichici e distorsioni genetiche.
È un mondo strano quello in cui abbiamo trasformato (in una manciata di decenni) il mondo “vero” che andava avanti da milioni di anni. In Raccontare la fine del mondo l’analisi di questi “tempi fantascientifici” va anche oltre la definizione: in letteratura, cinema e arti nel corso di un secolo il concetto di “umanità” ha sovvertito le regole, dapprima nel fantastico elaborato dall’uomo e successivamente nella sostanza del corpo planetario. Dall’era dell’atomo all’era dei virus le immagini ricordate in ogni pagina del libro, oltre che rivelatrici, si fanno sempre più spaventose, grazie alla lucida attrezzatura mnemonica dell’autore e all’evidenza di racconti e immagini sottratti alla fantasia e messi di pari peso nella realtà terrestre. Se i film “catastrofici” la fanno da padrone, non meno digressioni dall’argomento rivelano romanzi trasformati in veri classici della narrativa mondiale. Se la dominanza della TV impressiona per la sua metamorfosi in realtà tangibile, l’esasperazione del contemporaneo – secondo Malvestio – è giunta a un punto di non ritorno in cui nessuno più riesce a discernere nella schiuma temporale in cui siamo immersi.
Dal nucleare e Hiroshima a Černobyl’ e Fukushima, dall’invasione extraterrestre inventata da Wells e narrata in radio da Welles al contagio virale HIV e Covid-19 (senza scordare la miriade d’altri agenti infettivi invisibili), dalle estinzioni avvenute (e dimostrate) nel corso delle ere geologiche al cambiamento climatico, il viaggio attraverso le discordanze in questo libro rivela quanto ormai la scena (per lo più apocalittica) sia descritta non soltanto dal mondo anglosassone: in ciò che oggi viene definito Afrofuturismo si fanno i conti con l’Antropocene divenuto un vero e proprio iperoggetto. Se la letteratura non può essere soltanto una rilettura del reale, scrive Malvestio, che almeno riesca a descrivere cosa è l’Antropocene e cerchi di immaginare come il mondo finisce, se finisce, manifestando con chiarezza l’intento di cambiare lo stato delle cose.