Marco D’Eramo nel suo libro analizza l’affermarsi dell’ideologia neoliberista negli Stati Uniti e il suo diffondersi a livello planetario mettendo in luce il ruolo svolto dai think tank americani che hanno influenzato la politica e la mentalità collettiva diffondendo un’ideologia forte al fine di giustificare il ridimensionamento dell’intervento statale.
Dalla fine degli anni Ottanta dell’altro secolo, l’ideologia neo liberal, che si era diffusa perfino tra i marines statunitensi, paradossalmente, saccheggiava le idee della tradizione marxista, parlando di conquista dell’egemonia e di vittoria nel conflitto di classe. Contemporaneamente, la Sinistra europea e statunitense inneggiavano alla morte delle ideologie, in nome del pragmatismo e senza rendersi conto che ignorare il conflitto tra le classi sociali minava la legittimità stessa del welfare state.
Ma è a partire dalla fine degli anni Sessanta che le grandi corporation statunitensi, terrorizzate dall’insuccesso della guerra del Vietnam e dall’esplodere del movimento giovanile, femminile e nero, corsero ai ripari e crearono fondazioni che avevano lo scopo di individuare le strade per la riscossa.
Erano ben consapevoli che andava elaborato un sistema di pensiero che, a partire dalla centralità dell’economia, comprendesse tutti gli aspetti della vita sociale e la reinterpretasse secondo il canone di “affamare la bestia”, cioè di indebolire ogni forma di intervento statale. Così i neoliberisti ridisegnarono il sistema scolastico, giudiziario, antropologico e della morale. Insomma iniziarono a tutto campo quella che Luciano Gallino (dispiace molto non vederlo citato nella bibliografia del volume, perché Gallino è stato tra i primi a occuparsi di questi temi in Italia) ne La lotta di classe dopo la lotta di classe, ha definito “la lotta di classe alla rovescia”, cioè il tentativo dei dominatori di distruggere tutte le conquiste che i dominati avevano strappato sino agli anni Settanta del Novecento.
Le fortezze del neo liberismo furono le università statunitensi, cui le fondazioni versarono grandi quantità di dollari per formare gli studenti al nuovo verbo antikeynesiano.
Uno dei primi intellettuali arruolati fu l’economista austriaco Friedrich August von Hayek, che insegnò per anni in Inghilterra e negli Stati Uniti, diventando amico di Walter Lippmann, Karl Popper, George Stigler e Milton Friedman. A Hayek e Friedman venne conferito rispettivamente nel 1974 e nel 1976 il premio Nobel per l’economia, un riconoscimento non certo voluto da Albert Nobel, ma creato appunto nel 1969 dalla Banca di Svezia.
Nel 1973 ci fu il colpo di stato in Cile, la tragica morte di Salvador Allende, l’uccisione e la diaspora dei dissidenti politici. Il golpe cileno fu lo spartiacque tra il vecchio liberismo, che vedeva nel libero mercato e nella democrazia il motore dell’economia, e le nuove idee neoliberiste, per le quali era la concorrenza tra imprese il vero motore dello sviluppo. La dittatura di Augusto Pinochet venne sfruttata per fare del Cile un laboratorio sociale, politico ed economico, e lo stesso Friedman si offrì come consulente al dittatore nella riorganizzazione del paese.
Gli economisti statunitensi, i Chicago boys, produssero uno dei più grandi esperimenti di accaparramento delle risorse pubbliche ai danni delle classi medie e di quelle più povere che sia avvenuto nel mondo, varando nel 1980 una Costituzione che fece diventare il Cile il paese con le più accentuate diseguaglianze dell’America latina. Da poco i cileni hanno respinto in massa quella Costituzione con un grande referendum popolare.
Samuel Huntington, politologo ultra conservatore, autore de Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale del 1996 e consigliere di Jimmy Carter, sosteneva a sua volta Pinochet perché la dittatura a suo avviso poteva limitare l’ingovernabilità e la mancanza di efficienza della democrazia.
L’idea principale dei neoliberisti era la centralità dell’economia e la concezione dell’uomo come “imprenditore di se stesso”. Rileggendo quei testi cadono davvero le braccia, per la rozzezza del punto di vista, basato sul concetto di concorrenza e di merce, e la povertà teorica dell’approccio che avrebbero dovuto suscitare una ferma opposizione a sinistra.
Nel pensiero neoliberista scompaiono le classi perché ciascuno dispone di un suo “capitale umano” da investire per il miglioramento della sua condizione. L’operaio nero di Detroit e il finanziere di Wall Street sono liberi allo stesso modo di far fruttare il proprio capitale. Liberi di cedere per denaro anche parte del proprio corpo, la loro stessa persona e la propria famiglia, al punto che nuove leggi sono in discussione per permettere la vendita dei bambini.
Armi di distruzione di massa del pensiero neoliberista sono il debito, la finanziarizzazione dell’economia e il controllo informatico.
Se negli anni Sessanta, al termine del processo di decolonizzazione, gli USA prestarono agli stati africani ingenti somme di denaro per incatenarli al debito, oggi, dopo la caduta del comunismo, la stessa politica è stata fatta con gli alleati europei, rendendoli perennemente debitori. Il potere delle agenzie di rating è tale da dominare di fatto l’economia europea con la possibilità di allontanare gli investitori declassando il paese e riducendone la credibilità, mentre il debito degli USA non è mai messo in discussione.
Due osservazioni. La prima riguarda una riflessione su quanto è accaduto in Italia nella sanità, con la trasformazione delle Unità sanitarie Locali in Aziende sanitarie, nella scuola e nelle Università, con il sistema dei crediti e dei debiti, con il mantra del merito che prescinde dalle diverse condizioni di partenza e nella pubblica amministrazione, con la demonizzazione dell’impiego pubblico e la criminalizzazione degli impiegati fannulloni, ma anche con la quasi esclusiva attenzione ai diritti liberal, come l’utero in affitto. L’opposizione non si è fatta sentire.
La seconda osservazione riguarda il che fare. Per D’Eramo bisogna smetterla di avere “il complesso di Groucho Marx” che non si sarebbe iscritto a un circolo di cui lui stesso fosse socio. In sostanza, dice l’autore, basta con i sensi di inadeguatezza, riprendiamo il pensiero di Marx e di tutti i teorici che lo hanno seguito e di cui dobbiamo essere orgogliosi, riconosciamo la presenza del conflitto di classe e interveniamo con nuove proposte sui temi della difesa dello stato sociale. Ho l’impressione che D’Eramo non colga la tragedia e la desertificazione che il trionfo del neoliberismo ha portato nella società e nella sinistra. L’analisi della subalternità culturale dei suoi leader e del perché abbiano sostenuto queste idee e queste politiche fallimentari, è ancora tutta da fare, ma è un punto fondamentale per capire gli errori fatti dalla dissoluzione del PCI a oggi, passando per le varianti arcobaleno dello schieramento.