Mattia Gregori viene al mondo un giorno del 1900, quando anche il XX secolo si sta posizionando al suo posto nel puzzle della Storia; assieme assisteranno alle voragini scavate dalle mani degli uomini per altri esseri umani, lasciando un solco profondo dopo l’altro nella storia dell’umanità. Quello che Marco Balzano ripercorre nel suo ultimo romanzo, Bambino, non è che questo: le voragini che scaviamo con le nostre mani e la polvere che ne resta quando le osserviamo con la lente del tempo.
All’inizio del romanzo Mattia Gregori è un ragazzino biondo, magro e inquieto. Vive a Trieste con suo padre Giovanni – un orologiaio dedito all’aggiustare il tempo –, suo fratello Adriano e sua madre Donatella, detta Tella, finché un giorno suo fratello parte con un biglietto di sola andata per l’America e sua madre, poco prima di morire, gli confessa di non essere stata lei a metterlo al mondo. La terra comincia a tremare in quegli istanti, per Mattia, e continuerà a tremare per tutta la sua vita: senza uno scopo né una vocazione, senza una guida né punti fermi, Mattia troverà ben presto riparo solo tra gli squadristi. La Prima guerra mondiale è finita, l’Austria-Ungheria ha cessato di esistere e con essa anche il suo dominio su Trieste, che diventa italiana. Un sentimento nazionalista inizia ad echeggiare per l’Italia e Trieste lo sente, lo fa suo. Gli uomini, irrequieti e febbricitanti, parlano del significato di patria e per alcuni triestini questo si realizza sfogando la rabbia contro gli s’ciavi – sloveni e croati – e contro operai e sindacalisti. Presto inizia a circolare l’ideologia fascista: squadristi e camice nere alimentano il fuoco della violenza con comizi in piazza dell’Unità, dove i fasci urlano come il razzismo contro gli slavi sia naturale per gli italiani. In uno di questi comizi, che degenera nell’incendio al Narodni dom dell’Hotel Balkan, Mattia scopre l’elettricità maligna che gli scorre nelle vene quando percepisce la violenza nell’aria.
Con la testa obnubilata da sentimenti nazionalisti violenti, Mattia comincia a frequentare la Casa del Fascio con l’obiettivo di farsi aiutare nella ricerca della sua madre biologica – l’unica prova che ha della sua esistenza è una foto che la ritrae nell’Orologeria di Nanni, suo padre, nel 1900, anno della sua nascita. Si convince che svaligiando le campagne con furti di oggetti rivendibili al mercato nero riuscirà anche a trovare quella donna, forse italiana forse slovena. Presto, tuttavia, l’incapacità di scovarla inizia a renderlo nervoso e concitato, portandolo a un atto di violenza dopo l’altro – e diventando una delle camicie nere più conosciute e violente di Trieste.
Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, a novembre Mattia si arruola come volontario per il fronte in Grecia, diventando tenente della Seconda compagnia, centurione Gattucci. Solo con la gelida aria dell’inverno, la malnutrizione, la dissenteria e la morte tutt’intorno, Mattia cerca di rintracciare il perché di tutte quelle violenze, senza però sentire rimorso o pietà – arrivando a pensare che se non avesse scoperto quella madre d’ombra forse non avrebbe conosciuto il vuoto e il nervosismo che hanno finito per caratterizzare tutta la sua esistenza.
Balzano continua delineando un paese liberato ma Trieste ancora amministrata dalle SS, ancora governata da nomi denunciati nel chiarore della piazza e uomini uccisi nel buio della notte. Mattia, tornato dal fronte con una fede fascista vacillante e ben consapevole di come la Risiera di San Sabba lavorasse come campo di prigionia, inizia a denunciare al commissario Rainer dissidenti e nemici politici. Un altro fronte, tuttavia, preme per mettere le mani su quella città di confine, finendo per entrare vittoriosa dopo la caduta di Hitler: il fronte dei Balcani guidato dall’esercito di Tito. Ha quindi inizio un’altra occupazione e Mattia sa che essa si svilupperà attraverso una nuova violenza, un nuovo terrore, una nuova bestialità. Lo capisce quando assiste all’uccisione di fascisti e nazisti nelle foibe, burroni profondi centinaia di metri da cui non si tornava più indietro; ma lo capisce anche quando viene rinchiuso nel campo di concentramento di Borovnica, da cui riuscirà ad uscire solo riprendendo l’attività di denuncia di oppositori all’OZNA, che Balzano ci ricorda essere stato un ramo dei servizi segreti militari della Jugoslavia. Anche questo male passato per le vie di Trieste diventerà un’ombra, scomparendo pian piano dalla vita della Venezia Giulia con l’intervento alleato ma intrappolando Mattia di fronte ai propri peccati.
«Ognuno segna i propri confini col sangue dell’altro» scrive Balzano e le sue parole ci raggiungono portando con sé l’attualità di guerre e conflitti a cui la comunità globale assiste impotente tutt’oggi. Non sembriamo capaci di sottrarci al male e alla guerra, così come Mattia sembra percorrere la via della sua esistenza tenendo in mano un’arma dopo l’altra, finché non è più possibile tornare indietro. Esiste una redenzione per chi ha commesso crimini, per chi non sente rimorso, per chi non da valore alla vita umana, per chi non comprende in fondo la fragilità del mondo che lo circonda? Balzano si augura che «verrà un tempo che gli elmetti dei soldati li useremo come vasi da fiori»: pregheremo di essere lì per annaffiare il germoglio della vita assieme alla vittoria del bene.