“Perché in quegli anni c’erano delle linee di fuga nelle vite individuali, perché se queste linee di fuga non ci sono un pazzo rimane un pazzo e quello è il suo destino, la puttana rimane puttana eccetera… la invece si erano mischiate le carte e questo permetteva di vivere in un modo diverso”.
La è Verona. Lo dice lo scrittore Antonio Moresco parlando del periodo in cui ha vissuto povero, poverissimo nella città facendo prima il funzionario di un partito marxista leninista, poi l’operaio alla Cirio e il bracciante e, insieme ad altre decine di persone, occupò le case Mazzi per andarci a vivere con moglie e figlioletta.
Quella di Moresco è una fra le voci (di attivisti di base, militanti, intellettuali) che nel libro e specialmente nel DVD ricostruiscono il periodo in cui Giorgio Bertani e la sua casa editrice hanno operato a Verona, facendo anche un ritratto della città e dei movimenti che l’hanno attraversata.
La storia della casa editrice Bertani vive due momenti molto significativi: in una prima fase – fino al 1974 – Bertani (coadiuvato da Franco Rella e Alberto Tomiolo) edita testi di autori ancora non pubblicati in Italia, come Deleuze, Nizan, Bataille, Guérin e altri; in seguito Giorgio Bertani diventa un vero e proprio editore militante, con un catalogo più rivolto alle produzioni teoriche e alle esperienze dei movimenti e conflitti italiani e internazionali, cercando insieme ad altre case editrici di “movimento” di costruire canali alternativi di distribuzione dei libri. In questo periodo sarà anche il primo e per molti anni editore di Dario Fo e dei libri de La Comune.
Paradigmatica la pubblicazione di Bologna marzo 1977 …fatti nostri… così come viene ricostruita dal fisico Carlo Rovelli, allora facente parte del collettivo di compagni bolognesi ruotanti attorno all’esperienza di Radio Alice: un vero e proprio “ordigno” – secondo le forze dell’ordine – che Bertani è costretto a pubblicare in una tipografia “clandestina”. Di lì a poco Bertani stesso verrà arrestato per possesso illegale di… una pistola lanciarazzi! E dire che nel 1962, allorquando Bertani aveva partecipato al rapimento del viceconsole spagnolo in Italia per scongiurare l’esecuzione tramite garrota di tre anarchici catalani, tutti i protagonisti erano stati condannati (anche i possessori di una pistola vera) a pochi mesi di carcere con le attenuanti “per aver operato per ragioni di particolare valore morale e sociale”.
Marc Tibaldi e gli altri che hanno partecipato a questa impresa (frutto di un crowdfunding!) nell’introduzione scrivono che quel che si propongono è – senza nostalgie – un progetto “che funzioni come ordigno mitopoietico, che metta e rimetta in moto critica e creazione, desideri e azioni”. Non potrebbe essere di meno per una generazione che della rottura con la memoria delle organizzazioni partitiche e del movimento operaio aveva fatto il punto di inizio di un nuovo modo di intendere la politica e di un nuovo paradigma; il problema è se l’intenzione sia sufficiente ad aggredire il presente. Un presente in cui le “linee di fuga” di cui parla Moresco nel suo scritto hanno oggi cambiato di segno. Il potere e i ruoli ai tempi di Bertani erano rigidi e le esperienze politiche dal basso riuscivano a romperne i confini, dare prospettive, sogni, programmi e progetti ai singoli, linee di fuga appunto; oggi viceversa il potere ha perso in rigidità per acquistare in penetrazione e pervasività, fino a catturare e mettere a valore la vita stessa dei singoli ai quali si chiede una duttilità e capacità di adattamento totale: linee di fuga inseguite, rubate e messe a valore. In sostanza puoi essere chi vuoi, anzi devi essere chiunque e qualunque cosa basta che produci.
Quale ordigno riuscirà a far saltare il meccanismo?
Qualche indicazione arriva per esempio da Raffaella Poldelmengo (una delle intervistate) che si presenta dicendo che lei non capiva tanti testi pubblicati da Bertani perché troppo difficili e teorici, ma racconta con vivacità le esperienze, le lotte e i luoghi di Verona attorno alla riproduzione della vita in tutti i suoi aspetti: le occupazioni delle case, e dei centri sociali, l’apertura e l’autogestione di parchi per i bambini, la richiesta di consultori… Lotte e punti di vista che ritroviamo in tante esperienze e riflessioni odierne di r/esistenza.
Che riesca o no ad accendere una scintilla per l’oggi (ma la stessa cosa ci si può chiedere a proposito di altri saggi e libri centrati su quegli anni) il lavoro curato da Marc Tibaldi è in ogni caso un importante tassello per ricostruire la storia complessa di Verona vista “come microcosmo paradigmatico della trasformazione politica culturale e delle relazioni sociali” che hanno riguardato tutto il territorio nazionale e il mondo.