Manuela Mazzi. Il trattato dei picchiatori svizzeri

Manuela Mazzi, Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni OttantaLaurana, pp. 272, euro 18,00 stampa

Geniale è il titolo di quest’opera, che si presenta come un trattato sui “picchiatori nella Svizzera italiana negli anni Ottanta”, articolato in una serie di schede biografiche, suddivise in due sezioni: Capibranco e gregari (i picchiatori liberi e le bande), Risse e pestaggi. Con piglio giornalistico sono ricostruite le vite di Spaccapietre, Patapàm, Jack D. e altre figure, con attenzione all’inizio della loro carriera di picchiatori e alle avventure memorabili di ciascuno, le quali spesso hanno a che fare con pestaggi tra branchi, alla texana e per strada, sfide d’onore per questioni di donne e vendette, zuffe per noia o campanilismo.

Veniamo dunque a sapere che gli anni Ottanta sono stati un periodo in cui quella parte di un Paese solitamente dipinto come ordinato e tranquillo fu attraversata da una diffusa violenza, la cui scorza ingiustificante poteva risalire a disagi familiari e scolastici, emarginazione sociale, ma era piuttosto il pretesto per affermare l’identità del gruppo e del singolo. Di più, era pura rabbia, era sentirsi soli di fronte a un altro uomo, nella tensione dei due corpi che si sfidano, possono rompersi il naso, le ossa, ma quello resta l’atto supremo per dire sono io, sono qui, più forte della rabbia e degli altri, dai quali si pretende rispetto, amicizia, dignità. Come dice Cavazzoni, autore della postfazione, era una sorta di Paleolitico umano, un’età della pietra grezza, lontana dal rievocare la violenza presente nei miti di quel decennio, da Schwarzenegger a Van Damme, da Stallone a Seagal. Spesso capita che quei picchiatori diventassero amici (dopo i pugni il terzo tempo) o addirittura finissero per avere una relazione amorosa.

Man mano che si procede nella lettura, la struttura della biografia breve salta poiché alcune figure entrano e escono più volte dalle storie di altri. Il protagonista infatti è Matt Stehnermeier detto Nitro, un zucchino, ossia un tedesco nel Cantone sbagliato, che, stufo di essere deriso perché mingherlino, inizia dai banchi di scuola a farsi rispettare, picchiando. La sua spalla è Gerry detto Glicerina, perché, insieme, diventano una coppia di giustizieri esplosivi.

Per Giulio Mozzi, editore e autore dell’introduzione, questo è “il poema epico di una generazione che si trovava nel disagio e che ha cercato di sopravvivere nell’unico modo che ha trovato disponibile: picchiando”. È stato un periodo della vita nel quale si dava l’assalto ai corpi per cercare se stessi, tanto da far impallidire al confronto con il presente, in cui i picchiatori sono entrati nella normalità, sedando i loro demoni: chi si è sposato, chi lavora come cioccolataio, chi fa il maestro di yoga. Quel tempo è stata la giovinezza turbolenta, un ribellarsi alle gabbie in favore di una giustizia assoluta o della ricerca di sé nel sangue della lotta. Venire alle mani per risolvere i conflitti è censurato dal nostro tempo, pur continuando a affiorare (perché ha a che fare con la natura umana) nel linguaggio, nei comportamenti fintamente ineccepibili, nell’interpretazione delle leggi o nel potere della rete, dove viene schermata dall’anonimato. Pensando a queste “nuove” forme di violenza, viene fatto di provare quasi nostalgia per quella dei picchiatori svizzeri, autentica e consumata all’interno di codici quasi cavallereschi.

Il libro di Manuela Mazzi, giornalista e narratrice di Locarno, simula di essere un’inchiesta, con tanto di prefazione di Orazio Cavadini, direttore del quotidiano TicinoSera, basata sugli articoli di Davide Tosetti, usciti ogni settimana per quasi un anno. Il giornalista, ci viene detto, morì poco prima di dare alla luce l’inchiesta, completata poi dall’autrice. È lei a dare vita a una finzione punteggiata di dettagli per circoscrivere la verità della storia, che guardiamo sempre da un’ambigua distanza, a causa dell’ironia serpeggiante. A corredo della rassegna sono anche raccolti i commenti tratti da articoli di giornale che in quegli anni hanno seguito le cronache dei picchiatori; una serie di tabelle che riepilogano: le bande attive nel Cantone dal 1980 al 1989, con il picco nel 1984 (la più pericolosa è stata quella dei Gpl, i Giovani picchiatori di Losone); l’impatto dei singoli gruppi sulla base di cattiveria, giorni di attività, periodo, fattore tempo, fattore membri; i più importanti eventi a seconda di gravità, picchiatori, durata (ad esempio la Mega-rissa del Lido di Locarno del 1988 o la Zuffa al Cincillà del 1982). Questa storia ci porta alle soglie della narrazione, lasciandoci il dubbio di essere vera dentro e fuori di essa, nella tonalità e nell’atmosfera che la percorrono, perché la rabbia è la faccia di una generazione non solo della Svizzera italiana negli anni Ottanta, ma forse dell’Occidente intero.