C’è un elemento fortemente nostalgico nella trasposizione a fumetti che Manu Larcenet ha fatto di La Strada, un condizionamento visivo che rende ancora più dolorosa la totale devastazione del mondo immaginato da Cormac McCarthy: i residui commerciali della nostra contemporaneità. Sono le insegne dei supermarket, le lattine di bibite gassate, i pacchetti di dolciumi a buon mercato, i barattoli di legumi precotti, gli slogan sui cartelli per la prova costume estiva. La precisa scelta dell’artista francese di insistere su questi dettagli crea nel lettore un aggancio emotivo con l’opulenza e la superficialità dei nostri giorni, che stridono in maniera destabilizzante con la complessità penosa e agghiacciante di uno dei romanzi più potenti del nuovo millennio.
Va detto subito che, al coraggio creativo e alla responsabilità narrativa che Larcenet si è caricato in questo confronto con il romanzo, è corrisposto un graphic novel di eccezionale potenza visiva. Il capolavoro di McCarthy, pubblicato nel 2006 e premio Pulitzer nel 2007, aveva già trovato una trasposizione cinematografica nel 2009 per la regia di John Hillcoat, ma il medium del fumetto si presta ottimamente al riadattamento di questo soggetto distopico. La storia ha per protagonisti un padre e un figlio che avanzano faticosamente nel mondo post-apocalittico e completamente morto, dove il pericolo e la disumanizzazione sembrano gli unici tratti distinguibili nella costante lotta alla sopravvivenza. Allo stile secco e allo stesso tempo dettagliato che il narratore statunitense ha scelto per il suo unico romanzo fantascientifico, Larcenet imprime un segno altrettanto graffiante e complesso. In entrambe le opere non c’è filtro nella rappresentazione dell’essere umano, la distinzione fra bene e male corre sul filo della sopravvivenza, del dramma, in rari casi della speranza. Eppure una separazione fra giusto e sbagliato pare ancora possibile e sta tutta nella compassione del ragazzo, nella necessità di comprendere il prossimo, nel non arrendersi alla disillusione anche quando ogni cosa fa dubitare di un qualsiasi futuro.
Larcenet non cede alla retorica e non fugge alla rappresentazione dell’orrore, non solo restituendo con le sue tavole i momenti più duri e raccapriccianti del romanzo, ma anche scegliendo con grande cura e coraggio le parole da far pronunciare ai due protagonisti. Per un verso, dunque, ogni vignetta è un colpo al cuore del lettore: quando restiamo sgomenti a specchiarci nello sguardo spaurito e smarrito del padre, quando guardiamo inermi il corpo rachitico del ragazzo, quando assistiamo alle pratiche più aberranti di sopravvivenza e quando ci irrigidiamo per la tensione procurata dalla pura violenza. Ma sono anche i dialoghi, sporadici ma significativi, a insinuarsi nel cuore e nella mente di chi legge, perché nella laconicità del padre è sempre possibile ravvisare l’amore e la protezione che riserva al figlio. Allo stesso modo, nella meccanicità di alcuni scambi è chiara la devozione e la fiducia che il ragazzo prova per il genitore.
La Strada di Larcenet non è un semplice adattamento, bensì possiede una sua autonomia autoriale potente e singolare, che colma i silenzi impossibili del romanzo e infonde una tenue colorazione al grigio cinereo che ha inondato il mondo di McCarthy. È necessaria una forza d’animo determinata per immergersi intimamente in questo libro duro e commovente, ma ciò che le sue tavole possono restituire è un’inaspettata (e forse indispensabile) indulgenza per ogni essere umano.