Manifesto ottimista per ripartire oggi

Paul Mason, Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano. Manifesto per un ottimismo radicale, tr. Fabio Galimberti e Gaia Seller, Il Saggiatore, pp. 407, euro 24,00 stampa, euro 10,99 epub

Paul Mason è molte cose – saggista seriale, inviato televisivo, esperto di economia, laburista anomalo con il pallino per l’operaismo – ma è soprattutto un giornalista tenace e ottimista, pronto a riorganizzare le idee tra il reportage di una rivolta e la scena della battaglia successiva.  Così se in Postcapitalismo (Il Saggiatore, 2015) immaginava la fuoriuscita dal capitalismo neoliberale a partire dalla rivoluzione digitale e dalla share economy collaborativa, nelle 400 pagine di Un futuro migliore prova invece a capire perché tutto stia andando così storto. Per dirla tutta: “Pensatori come Evgenij Morozov, esperto di tecnologia, hanno ipotizzato un esito alternativo chiaro e spaventoso: il feudalesimo digitale”.

Non è un caso se al “Frammento sulle macchine” che faceva da cornice teorica al libro precedente, si affianca ora il giovane Marx, quello dei Manoscritti, che menava scandalo tra i contemporanei affermando il carattere storico della natura umana, definendo la storia “null’altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi scopi”. Ciò che ci caratterizza come specie resta, dopotutto, la nostra capacità di alienarsi e di realizzarsi attraverso il lavoro, in pratica, di evolvere e di ridefinire noi stessi nel divenire, attraverso la tecnologia.

Una prerogativa che, secondo Mason, smentirebbe la narrazione postmoderna che da alcuni decenni ha rimpiazzato le vecchie narrazioni novecentesche, lasciandoci in mutande di fronte al realismo capitalista e, sempre più spesso, al controllo dell’algoritmo, oggi avanzato dalle  ideologie techie (transumanesimo, posthuman..) e dalla cultura libertarian di Silicon Valley. Se l’obiettivo resta infatti il controllo democratico della tecnologia, la posta in gioco scala ogni giorno di livello grazie alla pervasività dei social e delle intelligenze artificiali nelle nostre vite, anche a limitarsi, come fa l’autore, per lo più al campo occidentale (la Cina di Xi viene liquidata in un breve capitolo).

Alle radici del moderno “trumpismo” – un mix di retorica xenofoba, machismo e trasgressione retrograda che ha fornito uno stile e un’ideologia inconfondibili alla secessione nazional-liberista maturata in seno all’establishment economico – Mason ritrova il “sé neoliberista”, la  griglia formata dai neuroni specchio del mercato che nei decenni scorsi ha conquistato le società avanzate, senza fare prigionieri. Dietro alle bussole apparentemente impazzite di oggi, scopre un relativismo culturale che, nella sua forma estrema, ha portato gradualmente ad azzerare la fiducia nel metodo scientifico assieme alla possibilità di un soggetto.

Mason non le manda a dire, e a volte sa essere ruvido: l’onda di relativismo anti-umanista, dice, avrebbe trovato un’ampia sponda nel mondo accademico e nel pensiero progressista (si va da Michel Foucault a Bruno Latour, da Donna Haraway a Luciano Floridi) a partire dagli anni Settanta, quando per uscire dall’angolo in cui era finito con la crisi del marxismo, ha cominciato a fornire indirettamente munizioni all’avversario.

Per ripartire oggi, la ricetta liberale, in ogni caso, non basta, servono una morale collettiva per il nuovo mondo da costruire, e una prima traccia la fornirebbe proprio la resistenza agli stereotipi razzisti e sessisti dei millennials nelle università statunitensi, bullizzati come “fiocchi di neve” dall’Alt Right. Ma, soprattutto, un umanesimo radicale sempre più necessario, in grado di restituirci un universalismo finalmente libero da incrostazioni eurocentriche. Nel toolkit che Mason offre al lettore, trovano spazio la riscoperta di Eric Fromm come la rilettura anche aspramente critica di alcune “vite antifasciste” del secolo scorso (una tra tutte, quella di Hannah Arendt). Ma, chiaramente, è solo l’inizio e a occhio non sarà un lavoro breve.