Brian Panowich è cinquanta per cento James Ellroy e cinquanta per cento Cormac McCarthy (quello rurale di Figlio di Dio e quello noir di Non è un paese per vecchi); ed è un narratore di classe. Bull Mountain, storia di violenza che orbita attorno a una famiglia e a una terra («famiglia» e «casa» sono le parole che racchiudono l’intera vicenda), è un romanzo avvincente che si legge d’un fiato.
Panowich ha studiato la tradizione letteraria del Sud americano con attenzione, e si vede. La montagna immaginaria che dà il nome al romanzo è parte della catena degli Appalachi, un territorio che, come ha scritto Henry D. Shapiro in Appalachia on Our Mind, ha sempre avuto i contorni di una terra incognita per gli Stati Uniti. Isolati, storicamente riottosi e insofferenti al potere centrale, gli abitanti degli Appalachi sono stati banditi, moonshiners e ribelli da sempre.
Bull Mountain mostra proprio la parabola genealogica di una famiglia orgogliosamente illegale, i Burroughs, macchiata da un originario peccato biblico – l’uccisione di un membro del clan per mano del fratello, disposto a tutto pur di non abbandonare la montagna – che si snoda lungo tre generazioni. Clayton, l’ultimo dei Burroughs, decide di allontanarsi dai fratelli, trafficanti di liquore, marijuana e anfetamina dal grilletto più che facile, e diventare sceriffo per redimere simbolicamente l’intera storia familiare.
Però, come nella migliore tradizione southern gothic, sarà proprio il passato a irrompere violentemente sulla scena, riportando a galla colpe e segreti e precipitando Clayton in un vortice di violenza apparentemente senza fine. «Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato», scriveva William Faulkner in Requiem per una Monaca, e Bull Mountain, snodandosi contemporaneamente nel passato e verso il futuro, mostra tutta la drammatica attualità di questo postulato.
Se nel linguaggio Panowich tenta di avvicinarsi al lavoro di McCarthy, la struttura di questo esordio è invece figlia del noir dedalico di Ellroy, nel quale ogni capitolo porta la voce di uno dei protagonisti, approfondendo e ampliando sempre di più la rete di connessioni tra questi che, nello stile della detective fiction, sarà chiara solo alla fine. Protagonista indiscussa del romanzo è però la montagna del titolo, a sottolineare come la geografia selvaggia e goticizzata, spazio tanto reale quanto immaginario, resti per gli autori del Sud una fonte d’ispirazione inesauribile.