Majakovskij, leninista cosmista

Con Lenin ha camminato sulla luna Michel Eltchaninoff ci ha informato sul cosmismo, una corrente di pensiero che ha attraversato con fasi alterne tutta la storia russa, e soprattutto nel periodo intorno alla rivoluzione del 1917. Anche Vladimir Majakoskij, lo “strillone” della rivoluzione, ne è stato in qualche modo sfiorato. Ma a differenza di altri esponenti importanti del pensiero cosmista, per lo più legati a forme diverse di misticismo e di religiosità, il suo percorso resta sempre intrecciato alla tensione utopica della rivoluzione, e, quando essa si spegne, anche la sua voce si spegne.

Quando nel 1923 Vladimir Majakovskij chiede – meglio, grida – insistentemente al “placido chimico, / dalla fronte spaziosa”, impegnato nel laboratorio a sperimentare la nuova scienza e a scegliere chi riportare in vita, “Fammi risuscitare!” (Di questo, Opere 5, 1972, p. 259), non usa le parole e il volume della voce come espediente retorico per trascinare il pubblico, come è abituato a fare. È difficile invece non pensare a una nota cosmista nelle sue corde di poeta, certamente modulata a modo suo. Né poteva essere altrimenti, posto che il “cosmismo partecipa appieno alla vita artistica della Russia rivoluzionaria, al fianco delle avanguardie” (M. Eltchaninoff, Lenin ha camminato sulla luna, 2022, p. 78).

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L’elemento comune che riunisce sotto questo nome la variegata corrente di pensatori e militanti russi è l’idea di una connessione stretta tra la sfera umana e l’universo; e la convinzione che le azioni umane abbiano la possibilità di dominare l’evoluzione dell’intero cosmo. Si aprono allora possibilità inedite all’agire umano: anche la lotta contro la morte, l’immortalità, e la resurrezione dei defunti cessano di essere fantasie e diventano temi alla portata dello sviluppo umano. Secondo il  fondatore del cosmismo, si deve arrivare alla transizione da un mondo dominato dalla “cieca forza della natura a un mondo governato dalla consapevolezza, e dove non c’è spazio per la morte” (N. Fëdorov, What Was man created For? The Philosophy of the Common Task, 1990, p. 72)

Già l’anno prima Majakovskij esaltava lo sviluppo delle capacità umane proiettate oltre la dimensione terrestre, nell’universo, dove “si scontrano i pianeti, / e vedi / di colpo / liberarsi la nuova vita / dei futuri pianeti come nebbia-gas” (La quinta internazionale, in Opere 5, p. 187). Non a caso il poema è concepito come un“utopia” e un “modello della creazione degli anni venturi” (ivi, p. 447). Ma intanto si tratta di fare i conti con la realtà della situazione. La Nuova politica economica risponde a questa esigenza. Per Lenin, la la Nova Politica Economica [Nep, che restaura parte dei meccanismi capitalistici, non è una resa, una sconfitta ma la presa d’atto di una necessità contingente. Bisogna riprendere fiato per andare avanti nella costruzione del socialismo, e non basta puntare sull’organizzazione delle forme cooperative: le idee sul socialismo vanno riviste e devono subire “un cambiamento radicale”; mentre prima era centrale la lotta politica per la presa del potere, ora invece il centro di gravità si sposta sul “pacifico lavoro organizzativo «culturale»” (V. I. Lenin, Scritti economici, 1977, p. 839), soprattutto nelle masse contadine.

Majakovskij non ha dubbi rispetto al senso della Nep e alla necessità di aderirvi. È vero, è un salto all’indietro, ma abbiamo “retrocesso con un calcolo esatto / e qualcuno s’è perso sulla riva / dietro l’uragano, ma adesso avanti!”; così come conferma la sua fede leninista nell’organizzazione, perché il “partito è la spina dorsale della classe operaia. / Il partito è l’immortalità della nostra opera.” (Vladimir Ilic Lenin, in Opere 5, p. 312, p. 299).

Il riferimento alla situazione concreta non annulla la tensione utopica, ma anzi la esalta, seppure in termini opposti alle astrazioni cosmiste. A Lunačarskij, Commissario del popolo per l’istruzione, che insiste ancora in una combinazione di idee cosmiste e marxismo – una sorta di fede in una “religione […] materialista” (M. Eltchaninoff, cit., p. 55) – Majakovskij si rivolge infastidito: ”Smettetela con questo cosmo! Che c’entra il cosmo?” (La quinta  internazionale, cit., p. 192). Piuttosto, sarebbe necessaria una nuova forma di organizzazione mondiale, non basterebbe neanche una quarta internazionale, ce ne vorrebbe una quinta, perché bisogna preparare “una nuova sommossa / nell’ambito della futura / sazietà comunista“. (La quarta internazionale, in Opere 5, p. 175).

Dalla morte di Lenin nel 1924 fino al primo piano quinquennale nel 1929, non è altro che una lotta contro la progressiva trasformazione della tensione utopica della rivoluzione in ideologia volta alla instaurazione e conservazione dell’ordine staliniano. Ciò che si poteva temere e di cui si poteva sentire l’odore già nel 1923 diventa ormai senso comune, e il nemico è ancora

tutto

che in noi

ha inculcato l’antica schiavitù,

tutto

che, sciame di meschinità,

s’è posato

e si posa sulla vita,

persino nel nostro ordine

imbandierato di rosso

(Di questo, in Opere 5, p. 256-7).

Il nuovo ordine assume sempre di più il colore e il peso dell’ideologia. Se le utopie trascendono la situazione sociale, in quanto spingono a proiettare l’agire verso elementi che la realtà presente non contiene affatto, allora non possono essere ideologie, non lo sono nella misura e “fino a quando riescono a trasformare l’ordine esistente in uno più confacente con le proprie concezioni” (K. Mannheim, Ideologia e utopia, 1957, p. 192). Man mano che la consapevolezza della vittoria dell’ideologia si fa strada, la situazione diventa sempre di più insopportabile. Senza la frusta dell’utopia la rivoluzione non può sopravvivere. E neanche Majakovskij: “Per me / di aghitpròp / ne ho avuto fino al collo, / per me / imbastire / per voi romanze / sarebbe stato più redditizio / e allettante, / Ma io / mi domavo, / mettendomi / sulla gola / della mia canzone”; per “l’agitatore / e lo strillone” (A piena voce, in Opere 5, p. 434-5, p. 435) la lunga battaglia è finita. Non resta che prendere atto della insuperabile divergenza tra utopia e ideologia, e chiudere i conti con un colpo di pistola. Ma nemmeno nella fine può rinunciare a proiettarsi ancora nel cosmo, anche se ormai la voce dell’utopia tace:

Guarda che silenzio nel mondo

La notte ha imposto al cielo un tributo di stelle

In ore come queste ti alzi e parli

ai secoli alla storia all’universo

(Opere 5, p. 442).