Madamina, il catalogo è questo

Tornano i repertori biografici e questa volta raccontano le vite esemplari di donne e di uomini "ribelli" che hanno fatto la storia. Ma può un genere da sempre moralistico e celebrativo diventare rispettabile e progressista o, addirittura, veicolare "trasgressioni"?

C’è chi profetizza, per il multiforme Universo dei Supereroi, aria di crisi. Spolpati fino ad ossificarsi, adattabili a qualsiasi media, in un gioco di rimandi infiniti, giostrando tra i generi, i possessori di superpoteri potrebbero avere esaurito la spinta che per un ventennio li ha visti signori incontrastati dell’immaginario non solo di massa. Eppure, in un rimodellamento mitopoietico, il culto dell’eroe, cedendo il suffisso che gli presta mantelli e poteri riconducibili alla sfera del magico, torna a filtrare nelle cronache quanto nei palinsesti dell’immaginario. Limitandosi solo al contesto italiano, già prima della pandemia l’abuso del termine (su quotidiani e siti di informazione) si faceva notare, ma è con lo stato di emergenza che si impone quale spia di una narrazione istituzionale incapace di trovare fondamento se non nel ricorso alle retoriche belliche: eroi i medici in trincea e gli scienziati in prima linea nella ‘guerra’ contro il ’nemico’ invisibile. Così invisibile, il virus, che alla lunga risulta inadeguato a reggere la prosopopea bellica, frantumatasi, nell’arco di pochi mesi, in aggressività diffusa: parodia di guerra civile in cui i nemici sono ovunque e gli eroi scomparsi. Come la tomba del milite ignoto insegna, infatti, con ironia feroce: la dimensione collettiva non si addice all’eroe. Per essere tale l’eroe deve distinguersi attraverso l’eccezionalità: pena beccarsi l’aggettivo (quando viene condotto al macello) come premio di consolazione: che il sostantivo lo meritano solo gli Illustri. 

Ma esiste un genere letterario, per così dire anfibio, che permette di mantenere capra e cavolo sulla stessa barca; si fa notare maggiormente nei periodi storici poveri di originalità, quelli in cui è avvertita l’esigenza di sancire e istituzionalizzare nuovi corsi valoriali. E’ il genere dei repertori biografici, in cui vite straordinarie raccolte in volume si prestano ad  exempla, in quanto occasione per celebrare una qualche specifica virtù che tutte le accomuna.
 Negli ultimi cinque anni il genere sta vivendo nel nostro Paese una fortuna carsica ma tenace. A partire dal primo volume di Fiabe delle buonanotte per le bambine ribelli di Francesca Cavallo ed Elena Favilli al più recente Eretici di Tomaso Montanari, queste collettanee mostrano (in termini di numeri) una vitalità sorprendente, dichiarando, perlopiù e fin dal titolo, una patente di anticonformismo. Un invito a non uniformarsi. Bene. Rispetto a cosa? Domanda non illegittima, soprattutto se, invitando all’irregolarità, si sceglie per veicolo una forma letteraria moralistica per tradizione e celebrativa per vocazione. Forma minore che, sin dalle origini, tende a mummificate vite esemplari nel sepolcro delle virtù esemplate.

L’origine: uomini illustri a mazzi

Esemplarità è quel che si richiede agli eroi o agli Uomini di Fama affinché si prestino a diventare specchi virtuosi di collettività bisognose di un immaginario catalizzatore. Nate in ambiente ellenistico, queste compilazioni attraversano l’antichità raggruppando biografie a vario titolo illustri, sottolineando elementi da esaltare (o esecrare) allo scopo di consolidare un qualche concetto di virtù (militare, eroica, poetica, di governo etc) da contrapporre ai difetti e ai vizi. Le più note: De Viris illustribus (Uomini illustri, I sec. a C) di Cornelio Nepote, De Viris illustribus (Uomini illustri, I sec. dC) di Svetonio in ambiente latino, le Vite Parallele (I\II sec. dC), di Plutarco in ambito greco. Si tratta di collettanee in cui l’interesse erudito prevale sull’inclinazione moralistica, tanto che le stesse Vite Parallele pur muovendo da un’intenzione politica, non si esauriscono nella loro natura didattica. 

I paradisi dell’aneddotica: l’invenzione della tradizione come metodo

E’ con Valerio Massimo, storico minore coevo di Svetonio, che questi repertori mostrano di poter assumere una forma precisamente didascalica (e ideologica): con i suoi Factorum et dictorum memorabilium libri IX (Fatti e detti memorabili) l’autore celebra infatti la ‘virtus’ romana (raffrontata alle virtù di altri popoli) per via aneddotica, in una miscela di storia dilettevole e didattica dell’esemplarità, mostrando la duttilità di un genere e il suo potenziale dispositivo retorico: scovare in una molteplicità di esperienze un tratto unificante (eroismo, sacrificio di sé, amor patrio etc) consente di spostare l’accento dall’esemplarità del singolo al ‘valore’ esemplato: in una genealogia fondante i meriti di un presente glorioso attraverso le gesta di un passato insigne. Dispositivo, questo, che colloca il testo – e quelli che lo prenderanno a modello – nel solco della tradizione agiografico-edificante, destinata a farsi prevalente nel medioevo cristiano dove le innumerevoli Vite dei Santi, Vite dei Padri della Chiesa e Martirologi assumeranno le biografie secondo l’ottica esclusiva della morale cristiana, annullando (o riconfigurando) i dati storici nel colore acceso, e spesso truculento, dell’aneddoto.

Nel basso medioevo sarà Francesco Petrarca con l’incompiuto De viris illustribus (Uomini illustri, 1337) a ricondurre le collettanee biografiche nel solco della tradizione antica affermando, indirettamente, la continuità della propria visione filosofico letteraria con il mondo classico; mentre Boccaccio con De casibus virorum illustrium (Sventure di uomini illustri, 1350-1360) si propone di mettere in guardia i contemporanei circa la disgrazia che tocca in sorte a chi si lascia accecare dai propri successi. Sempre a Boccaccio si deve il primo repertorio di biografie femminili dopo che Ovidio, parecchi secoli prima, aveva dato un contributo al genere in forma epistolare con le sue Eroide.
Pare che Boccaccio fosse molto fiero del suo De mulieribus claris (Donne famose, 1361), consapevole di essere pioniere di quel ramo. Le donne del Boccaccio, provenienti dagli universi della letteratura e della storia, in una fusione di mito e realtà che è tipica dei repertori biografici sin dalle origini, sono ‘famose’ sì, ma esemplari più per i loro vizi che per le loro virtù: questa la contestazione che Christine de Pizan muoverà qualche decennio più tardi allo scrittore fiorentino.  

La citta delle dame

Responsabile di un prestigioso scriptorium, Christine De Pizan è senz’altro una delle più incisive intellettuali laiche del medioevo, nonché prima donna a concepirsi scrittrice di professione. In questa veste, replica colpo su colpo alla misoginia che vede nella compilazione Boccaccesca (ma soprattutto nel Roman de la Rose di Jean de Meun) stilando un repertorio che diventerà celebre: La cité des dames, (La Citta delle dame, 1405) in cui chiama a raccolta decine di donne ‘celebri’ (guerriere, dee, sante eroine, maghe; in generale donne passate, in qualche modo, alla storia) per rovesciare il punto di vista maschile ed esaltare la sapienza e la forza morale delle femmine: rivendicandone il diritto all’educazione e alla cultura. Un testo straordinario che ha il merito di innescare il dibattito noto come Querelle des Femmes (circa i meriti delle donne e le loro capacità) che occupa i margini della letteratura dell’età moderna in parallelo alla misoginia crescente destinata a trovare nei manuali inquisitori la sua forma più abietta: dispiegata nei processi, celebrata nei roghi.

Entrando nel genere per rovesciarlo, De Pizan non visita il passato (mitico, letterario o storico) per confermare il presente. Se c’è didascalismo nella Cité è un didascalismo utopico che sconfessa anziché confermare l’ideologia dominante, attraverso un piglio filosofico (e allegorico) che si serve di figure esemplari per riscattare il femminile tout court. Insomma un paradigma inverso a quello delle collettanee maschili che fanno degli ‘uomini illustri’ figure superiori, modelli, sì ma da venerare a distanza; che se tutti fossero celebri chi pulirebbe più i cessi?

Dai Dizionari Biografici ai sussidiari

Corrono i secoli, non scolorisce la smania di raccogliere uomini illustri e catalogarli: ora, facendo prevalere l’interesse genuinamente storico, dove la comparazione diventa strumento critico, come nelle Vite del Vasari; ora celebrando la gloria di una città, di una diocesi, di una regione, di una signoria, attraverso raccolte ad hoc (nel solco dell’invenzione della tradizione); ora, attraverso un taglio erudito e universalistico come nel Grand Dictionnaire historique  dell’Abate De Moreri (1674) modello della mastodontica Biographie universelle dell’Abate Michaud (1843) che raduna le biografie degli uomini celebri prescindendo dalla loro appartenenza a uno stato specifico europeo.

Con Michaud si esaurisce la spinta universalistica che aveva distinto la cultura dei Lumi e scocca l’ora dei dizionari biografici nazionali: a titillare sensibilità patriottiche neonate o di lungo corso, che preparano l’avvento di una svolta epocale. I dizionari così intesi, è bene chiarire, perdono mano a mano le sfumature ideologiche tipiche dei repertori, nella pretesa di censire ‘tutte’ le personalità illustri, infatti, non si cerca un’angolazione morale precisa: quel che conta sono i numeri.  

Nell’Italia post unitaria, non sorprende la rinascita del genere repertoriale di taglio agiografico in declinazione laico patriottica, qualche titolo per dare un’idea: I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848 (Atto Vannucci 1872); Vite degli italiani benemeriti della libertà e della patria morti combattendo (Mariano D’Ayala, 1868), Libro d’oro del patriottismo italiano -Biografie e ritratti dei combattenti dal 1848 al 1870 (Ulderico Grottanelli, 1902). La  fragile identità italiana ha bisogno di edificarsi su radici innervate del sangue dei propri martiri: una retorica che (tradendo intimamente i Mazzini, i Cattaneo, i Garibaldi e i Pisacane) iberna un passato contraddittorio nella capsula della memoria istituzionalizzata che condurrà, dritta dritta, alle trincee del Primo Conflitto Mondiale e, più tardi, nella macchina mitologica fascista: orgogliosa di sputacchiare immaginette eroiche e fondative assemblando pretese eredità antico romane e martirologi risorgimentali.

Una retorica grossolana e spiccia che sopravanza l’epoca fascista, tant’è che i sussidiari delle scuole elementari fin quasi agli anni Ottanta del Ventesimo secolo sono ancora ricchissimi di aneddoti circa 1] Virtù romane (da Muzio Scevola a Orazio Coclite) 2] Sangue dei martiri cristiani (seconda gamba dell’identità nazionale); 3] spirito di sacrificio e sprezzo della morte nei patrioti risorgimentali (omologati in un unico santino). Capita così che negli anni in cui i dizionari biografici diventano, a tutti gli effetti, un ramo della storiografia affrancandosi dallo spirito didascalico dei repertori, lo spirito di questi trasmigra nei testi di scuola per ritrovarvi la sua funzione primaria: istruire, esemplando ‘valori’ confacenti a un’ideologia identitaria che, fuori dalle aule scolastiche e dalle sale del catechismo, sta perdendo adepti. Il mondo culturale è in ebollizione e un genere pomposo, moralistico e un po’ ridicolo come quello dei repertori sembra destinato al declino. A suggello del tramonto (apparente) di un genere: nel 1973, Achille Campanile dà alle stampe la sua compilazione di Uomini illustri (1973), in chiave stralunata e parodica.

L’ultimo sussulto editorialmente vistoso si deve a Indro Montanelli che, nel 1988,  raccoglie in volume una serie di profili tratti dalla sua Storia d’Italia e lo battezza Ritratti; non pago, nel 1994, prosegue l’opera con Istantanee. Figure e figuri della Prima Repubblica. I due repertori verranno shakerati, nel 2004, in un volume unico.
Non stupisce che sia proprio Montanelli a cesellare uno degli ultimi repertori di uomini a vario titolo illustri: galleria in cui sfilano “Giulio Cesare e Giordano Bruno, Pio IX e Vittorio Emanuele III, De Gasperi ed Enrico Mattei, Galileo e Carlo Pisacane, in un compendio delle irripetibili caratteristiche di quel popolo inimitabile che vive in Italia”. Come da tradizione, l’antica virtù (speziata di vizi abnormi e\o birichini, come poteva piacere a Montanelli) si tramanda a conferma del presente. 

Prescindendo dal personaggio, l’indice è di per sé emblematico e riassuntivo dei dispositivi retorici che sostengono, sebbene con agio flessibile, il genere nel corso dei secoli: estrazione metastorica delle biografie dal flusso diacronico, conseguente collegialità sincronica (elettiva) delle vite straordinarie. Esaltazione del Carattere, inteso come volontà e capacità di affrontare l’avversa Fortuna. Esemplarità didattica ad uso dei posteri. 

Femmine folli (e magnifiche)

Fatte salve le eccezioni, in Italia, all’esordio del millennio, il genere sembrava destinato a un moderato oblio; fino a quando Francesca Cavallo ed Elena Favill, nel 2017, pubblicano per Mondadori Storie della buonanotte per bambine ribelli.  Il prodotto sbanca. Quei ritratti di donne ‘che ce l’hanno fatta’, scritti con tratto piacevole e illustrati da diverse artiste, diventano un bestseller internazionale. L’intenzione è onorevole (raccontiamo alle bambine storie vere di donne cha hanno trasformato il loro pezzo di mondo) il risultato destabilizzante, il clima culturale favorevole: le millennials marciano con madri e zie durante le manifestazioni contro la violenza di genere, l’hashtag Me Too connette le giovani donne dell’emisfero. C’è proprio bisogno di trovare modelli d’eccezione? Sembrerebbe di sì a guardare il comparto editoriale; discreti e inesorabili, infatti, i repertori di eccezionalità femminili iniziano a fioccare in libreria  (qualche titolo in traduzione, moltissimi in italiano) non solo perché trainati dal fenomeno Favilli-Cavallo, ma perché il genere nella sua duttilità si presta, in definitiva, a mettere ordine, declinando quanto già scritto a proposito dei suoi dispositivi. 

Diversi i format, i target (moltissimi i repertori dedicati alle bambine), la qualità dei prodotti, identico l’impianto retorico: una molteplicità di figure disseminate lungo l’arco diacronico che si raggruppa in disegno elettivo in forza di virtù condivise, a esempio delle generazioni presenti e future. A leggere risvolti o quarte di coperta, tali virtù sembrano disporsi, principalmente, entro l’aureola semantica riconducibile all’idea di Irregolarità: intraprendenti, ste donne, controcorrente, ribelli, incomprese; ma anche: oscure, aggressive, caotiche. Audaci, creative, rivoluzionarie. Insomma: diversamente esemplari. Eccezionali. Illustri, se non sempre, quasi.

La bandiera dell’Irregolarità che garrisce dalle quarte si regge, tuttavia, su un sostegno meno vistoso ma solido: le Virtù che accomunano, di fatto, le donne che compongono i succitati repertori è la forza di Carattere. E’ questo potere super-eroico che conduce le eroine in catalogo a superare ogni ostacolo (patriarcale e\o materiale) pur di confermare la propria ambizione o inseguire ‘fino in fondo’ il proprio demone. Tanto da raggiungere, talvolta postume, un posto nella Storia. Come è ovvio, le Morgane di Murgia e Tagliaferri, le Disobbedienti di Rasy, le Valorose di Dandini, sono angolate e scolpite con tratti non banali; in generale (con diverse gradazioni) non si può certo imputare a questi repertori sciatteria o mancanza di stile, ma ciò basta a scongiurare quel didatticismo dell’empowerment che contraddistingue alcune costole del femminismo mainstream? In altre parole, è sufficiente ruggire l’invito a seguire modelli alternativi, per scansare il rischio di celebrare, anche involontariamente, il modello tossico dell’affermazione di sé: costi quel che costi?

 Con una contraddizione di fondo: da un lato, come nel buon tempo antico, l’eccezionalità prevede il distanziamento dal modello, dall’altro, in epoca di incitamento all’espansione della personalità, chiede alle femmine, sempre e di nuovo, di oltrepassare se stesse in una corsa ansiogena, alla ricerca di superpoteri.

Nonsolodonne

Ma non solo donne, perché se squadra che vince non si cambia, lo stesso si può dire dei successi editoriali. Ecco allora comparire, timidamente, accanto ai più numerosi repertori per signora, una serie di repertori misti (o solo maschili). Persino un intellettuale del calibro di Tomaso Montanari se ne fa tentare: inscatolando in un libro alcuni ritratti Eretici di cui aveva narrato le gesta in una trasmissione su tvloft. Gli eretici di Montanari sono per inclinazione e vocazione più vicini ai martiri che ai ribelli: o meglio ribelli di coscienza. Integerrimi. Tormentati e, ça va san dire, sostenuti da straordinaria forza di carattere. Figure commoventi, intendiamoci, quanto è asciutta la capacità di Montanari di ritrarli. Qui il bersaglio è il genere, non gli autori.

Per gli accenti tutt’altro che drammatici, anzi scanzonati, va citato, in quanto emblematico, il libro per ragazzini Storie di sfigati che hanno spaccato il mondo. Da Leopardi a Frida Kahlo a Van Gogh, vite rivedute e scorrette di 20 personaggi che hanno fatto la storia (AAVV). Il termine ‘sfigati’ ammicca: si badi, però, parliamo di gente che ha spaccato il mondo. E’ noto ai più che i tre sopracitati non se la siano esattamente spassata in vita, ma è indicativo che ad accomunarli sia ‘la sfiga’ quale indice profetico di fortuna postuma. Del resto, chi se ne frega se fai una vita di merda: tu metticela tutta che un Domani, magari, sarai celebre (cioè, tipo, spacchi il mondo) e se ti va di lusso finisci in una collettanea. Già, probabilmente era questo a spingere i martiri in bocca ai leoni: la popolarità, mica il paradiso. 

In verità c’è poco da scherzare: guardando sfilare queste icone ribelli, eretiche, fuori dal comune, vien da pensare che la sensibilità (eterodossa e diffusa) che, nel passato prossimo, accendeva avanguardie o si incarnava in declinazione politica, si stia atrofizzando oggi nel culto dei santini, depositando una sensazione di memoria pietrificata e malinconici sospetti, quasi che il genere, nella sua naturale vocazione ad esaltare il passato per testimoniare il presente, abbia teso una trappola agli scriventi capovolgendone le intenzioni e svelando la sua natura di sintomo: spia che si accende in periodi epigonali per commemorare virtù defunte ad uso di retoriche correnti. 

Perché di questo si tratta: sbeffeggiati o meno dalla sorte, le donne e gli uomini che ci vengono portate ad esempio: diventano esemplari in quanto capaci di passare alla storia. Del resto, è questo il rituale celebrativo dei repertori: strozzare esistenze celebri, obbligandole ad emettere utili note. Su tutte, quelle stridula della Superiorità e della Fama.

 

NOTE
Qui una lista di repertori pubblicati in Italia negli ultimi cinque anni. Benché incompleta può rivelarsi in qualche modo ‘esemplare’.

Repertori di biografie femminili

E Favilli, Storie della buonanotte per bambine ribelli 1, (Mondadori, 2017).
Petricelli, S. Riccardi, Cattive ragazze. 15 storie di donne audaci e creative (Sinnos, 2017)
Gabriella Greison, Sei donne che hanno cambiato il mondo. Le grandi scienziate della fisica del XX secolo (Bollati Boringhieri, 2017)
E Favilli-F Cavallo, Storie della buonanotte per bambine ribelli 2, (Mondadori, 2018)
Antonello Chichiricco, 48 donne che hanno cambiato il mondo 2018 di (CSA, 2018)
Annalisa Monfreda Donne come noi. 100 storie di italiane che hanno fatto cose eccezionali (Sperling 2018)
Kay Woodward Lei che cosa farebbe? La vita di 25 donne che hanno cambiato il mondo (Ed ita, Mondadori Electa, 2018)
Rosalba Troiano 20 bambine straordinarie che hanno cambiato il mondo (Pane e  sale 2018)
Dandini Catalogo delle donne Valorose, (Mondadori, 2018)
Vichi de Marchi, Roberta Fulci Ragazze con i numeri. Storie, passioni e sogni di 15 scienziate  (Editoriale Scienza, 2018)
Gabriella Greison Storie e vite di superdonne che hanno fatto la scienza (Salani, 2019)
Penelope Bageu. Indomite. Storie di donne che fanno ciò che vogliono (bao publishing ed ita 2019)
Elisabetta Rasy Le disobbedienti. Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte (Mondadori) 2019
M Murgia-C Tagliaferri, Morgana. storie di ragazze che tua madre non approverebbe, (Mondadori 2019)
E Favilli-F Cavallo, Storie della buonanotte per bambine ribelli 3. Storie di migranti che hanno cambiato il mondo (Mondadori, 2020)
Daniela Musini, Le magnifiche, 33 vite di donne che hanno fatto la storia d’Italia (Piemme 2020).
Beatrice Venezi, Le sorelle di Mozart. Storie di interpreti dimenticate, compositrici geniali e musiciste ribelli.(UTET 2020)

Repertori di biografie maschili o miste

Elena Sforza, 100 racconti per bambini coraggiosi (Elekta kids, 2017)
Alfredo Accattino, outsiders-storie-di-artisti-geniali (Giunti, 2017)
Ben Brooks, Storie per bambini che hanno il coraggio di essere unici. Storie vere di bambini straordinari che hanno cambiato il mondo senza dover uccidere draghi (Salani, 2019)
Ben Brooks, Storie per bambini che vogliono cambiare il mondo (Salani, 2019)
Miralda Colombo, Ilaria Faccioli, Vite straordinarie (2018 Electa Kids)
AAVV. Storie di sfigati che hanno spaccato il mondo. Da Leopardi a Frida Kahlo a Van Gogh, vite rivedute e scorrette di 20 personaggi che hanno fatto la storia (Salani, 2019)
Tomaso Montanari Eretici (Paper First, 2020)