Pascal Manoukian, Ciò che stringi nella mano destra ti appartiene, tr. Francesca Bononi, 66thand2nd, pp. 229, euro 16,00 stampa
recensisce UMBERTO ROSSI
«Il suo cavallo di Troia è l’incultura: adolescenti con i cervelli pieni di niente, istupiditi da tv spazzatura, Grandi Fratelli e reality show vari».
Attenzione: non si parla della Lega o dei cosiddetti populisti. Chi sfrutta l’incultura a proprio vantaggio è l’ISIS. È una delle lezioni che apprendiamo leggendo questo romanzo duro e compatto, scritto da un reporter internazionale (che ben conosce le aree di guerra del Medio Oriente). La storia inizia nella Parigi di Charlie Hebdo e del Bataclan, quando Aurelién, francese purosangue, si converte all’Islam ed entra in quell’organizzazione anche nota come ISIL, Daesh, Daish e Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. Proprio quelli: vestiti di nero, coi video horror girati senza trucchi, pronti a farsi saltare in aria e tagliare teste. Anche se Aurelién non è di discendenza mediorientale, nordafricana o nigeriana, istruito dal suo contatto dell’ISIS va in un localetto di tendenza con un compagno di terrorismo, spara sugli avventori e per finire in bellezza (dal suo punto di vista) si fa saltare in aria.
Così facendo fa a pezzi, tra gli altri, Charlotte, promessa sposa del montatore televisivo Karim, lui sì di famiglia proveniente dal mondo islamico, e in effetti musulmano anche se nient’affatto radicale. Muore anche, nell’esplosione, la figlia che la sventurata Charlotte portava in grembo. Questo l’inizio del romanzo, tutt’altro che inverosimile, purtroppo. Quel che segue, invece, è decisamente fantasioso, ma per un valido motivo: Karim, per vendicare la moglie la figlia e le altre vittime dell’attentato, si arruola nell’ISIS via web, approfittando anche delle sue origini che lo fanno somigliare al tipico convertito. A tutti gli effetti, Karim è un infiltrato fai-da-te in Daesh, un agente sotto copertura che però non ha alle spalle né polizie né servizi segreti.
Che la cosa sia credibile o meno, poco conta: evidentemente a Manoukian premeva avere a disposizione un punto di vista, quello di Karim, del tutto scettico e per niente simpatetico nei confronti dell’ISIS, che viaggiasse verso il cuore di tenebra del cosiddetto Califfato restando ben consapevole della sua mostruosità. A Manoukian interessa farci vivere coi mezzi della narrativa quello che evidentemente ha visto e sentito nella sua attività giornalistica, e quello che col tempo s’è scoperto dei mezzi e dei fini dell’organizzazione, inclusa la sua capacità di finanziarsi vendendo petrolio sottobanco che poi va sempre a bruciare in occidente per produrre energia in varie forme, complice quella Turchia (dove si svolge una lunga sequenza della storia) che all’inizio era tanto amica dei tagliagole di Daesh.
Molto altro ci sarebbe da dire su questa narrazione, brutale e tagliente come quei coltelli che usano i kamikaze in occidente e gli sgozzatori in Medio Oriente. Ma un punto mi preme di sottolineare, come fa d’altronde anche lo scrittore, che qui devo citare: «Al Quaeda viveva nell’era delle caverne all’interno delle grotte di Tora Bora; l’ISIS vive in quella del virale e dei social network». Manoukian, che dei media ne sa parecchio, legge il nuovo terrorismo dei martiri col furgone e la mannaia come fenomeno pienamente inserito nella Società dello Spettacolo; stabilisce un parallelo forse blasfemo ma assai azzeccato tra il Califfato e i reality show, Grande Fratello in testa – invece di ripetere medioevo, come fanno i commentatori con troppa disinvoltura, mostra che questo è un orrore del XXI secolo. Non a caso il protagonista del suo romanzo è un professionista della TV e del web, come scoprirete leggendo…