Diceva Nicolas de Staël che non si dipinge mai ciò che si vede, o si crede di vedere, ma si dipinge, “a mille vibrazioni”, il colpo ricevuto (le coup reçu). Il colpo che incassa Lydie Salvayre viene dalla lettura dei Grandi cimiteri sotto la luna di Georges Bernanos. Il quale, trovandosi in Spagna nel 1936, pronto ad abbracciare la causa dei nazionalisti, rimane inorridito da ciò che vede, sconvolto dalla complicità della Chiesa nei massacri, prende la penna come s’impugna un martello e si mette a picchiare. Il monarchico Bernanos, fervente cattolico e membro dell’Action française, rinnega le proprie convinzioni e decide di raccontare la notte degli uomini di cui è testimone.
Mentre legge quelle pagine cupe, Salvayre ascolta la madre sciorinare i suoi ricordi, e comincia a prendere appunti. Montse, la ragazzina che nel 1936 aveva quindici anni, è adesso un’anziana signora che il declino spinge verso l’oblio. Ha forti disturbi della memoria, ma conserva intatto il ricordo di quell’estate del 1936, quando si trovò a vivere un’esperienza del tutto opposta a quella di Bernanos. La morte e la vita, la lucidità impietosa di chi si ravvede e la follia tumultuante di chi si ricorda. Non piangere nasce dall’intreccio di queste due voci.
La guerra civile è preceduta dalle insurrezioni libertarie. In un paesino sperduto della Catalogna, in cui da secoli un pugno di latifondisti costringe tante famiglie a vivere nella miseria più nera e nel silenzio, Montse trova il coraggio di ribellarsi e diviene una “povera cattiva”, una povera che non tiene la bocca chiusa. Non sa ancora niente della vita, vive tra religiose che ne incasellano l’educazione nello schema ben incarnato dai suoi genitori; eppure sente il fremito della Storia: guidata dal fratello maggiore, José, scoprirà la seduzione dell’utopia libertaria, insieme a gente tenuta all’impossibile.
Nell’allegria, nell’effervescenza di chi è dedito a inseguire i propri sogni, Montse trova l’amore: un giovane francese che, come migliaia di altri, giunge in Spagna per arruolarsi nelle Brigate internazionali; José, al contrario, è protagonista del naufragio dell’esperienza insurrezionale, nello scontro con l’altro personaggio maschile del romanzo, Diego. Figlio adottivo del possidente don Jaime, costui trova nel Partito comunista un’ideale famiglia di sostituzione, alleando così la ribellione personale alla lotta di classe. Dietro l’apparente, adulta freddezza dei suoi calcoli politici, traspaiono odi e fragilità infantili. Salvayre, che fu pedopsichiatra prima di divenire scrittrice, mostra in questo modo come gli orpelli delle ideologie nascondano spesso scheletri antichi.
Tutto ciò, si diceva, sotto forma di parola raccolta. Altra grande forza di questo libro: la vitalità di un’oralità dirompente, lucida e demente a un tempo; gli ultimi ricordi, precisi e affilati, di una mente per altro alla deriva, consegnati nella lingua ibrida di chi ha dovuto cambiar lingua. Nel 1939, Montse si stabilisce in Francia e deve imparare una nuova lingua, che subito inizia a strapazzare: è il fragnol, sapida mescolanza di français e espagnol che le traduttrici Lorenza Di Lella e Francesca Scala rendono magistralmente.
Non piangere valse alla sua autrice il Goncourt nel 2014. Presentato per la prima volta ai lettori italiani nel 2016 (per L’asino d’oro), Prehistorica lo ripubblica adesso, impreziosito da un’inedita prefazione di Marcello Fois. La denuncia del fanatismo religioso, della vigliaccheria dell’Europa, dell’ascesa di nazionalismi gretti, bellicosi e xenofobi risuona oggi quantomai attuale.