Scrittrice perduta e ritrovata, Luisa Carnés viene pubblicata in Italia per la prima volta dopo quasi un secolo dall’inizio della sua carriera di autrice di racconti e romanzi. Anche in Spagna era stata dimenticata, anzi rimossa dalla cultura bigotta e fascista del franchismo che fece tabula rasa di ogni esperienza anche timidamente progressista condannando a morte, alla prigione o all’esilio chiunque ne avesse fatto parte e lottato nella controversa esperienza della Repubblica. Così anche la sua ricca bibliografia messicana non riesce a ritornare in Europa, come lei che morirà in esilio nel 1964 a Città del Messico, quando il suo Paese è ancora schiacciato e abbrutito dalla dittatura.
Nata a Madrid nel 1908, Carnés è di origine operaia, a differenza delle donne artiste e intellettuali che aderirono al movimento chiamato Generazione del ’27 pur provenendo da ambienti colti e benestanti. Figlia di un barbiere e di una sarta, è la maggiore di sei figli, a undici anni le condizioni familiari non le consento più di frequentare il collegio religioso in cui studiava e fu avviata al lavoro in una cappelleria: era l’età minima che la legge consentiva per iniziare a lavorare. Il suo impiego successivo si svolse in una pasticceria, la cui esperienza è alla base della scrittura di questo Tea rooms. Mujeres obreras (novela reportaje), pubblicato nel 1934.
Nonostante la giovane età e l’impegno che quel lavoro richiedeva, e di cui il romanzo riporta descrizione analitica ed emotivamente intensa, Carnés continua a studiare come autodidatta e come appassionata lettrice di narrativa, diventando una divoratrice del grande romanzo europeo di fine Ottocento che era disponibile nelle biblioteche popolari delle diffuse società operaie. I suoi primi racconti vengono pubblicati nel 1926, poi segue una raccolta di tre romanzi brevi. Diventata dattilografa (una professione femminile citata in Tea rooms, dove si sottolineano i ricatti e le pressioni maschili cui le impiegate erano costrette a subire) presso un importante editore, si sposa con l’illustratore Ramón Pujol, famoso per essere stato l’autore di uno dei manifesti simbolo della Guerra Civile spagnola: ¡No pasarán!. Da quel momento diventa narratrice e giornalista sia per testate molto diffuse come El Sol, La Voz, e il diffusissimo rotocalco Estampa, fino a partecipare alla redazione di Mundo Obrero, organo di stampa del Partito Comunista. Durante la Guerra Civile segue l’andamento del fronte ritirandosi fino a Barcellona, scrivendo sul quotidiano comunista Frente Rojo. Abbandona la Spagna per raggiungere l’esilio in Messico, dopo aver pubblicato due romanzi, racconti e centinaia di articoli, e prosegue la sua attività di militanza politica e di narratrice. Muore in un incidente d’auto nel 1964, ancora in esilio.
I suoi temi importanti sono alla base di Tea Rooms, considerata la sua opera più riuscita, un romanzo politico che sviluppa una vera inchiesta operaia attraverso l’evolversi delle vicende delle donne protagoniste. Ognuna di loro racconta la propria vita, ribalta sulle colleghe le difficoltà, le aspettative e le delusioni dell’esistenza, le ingiustizie sociali e lavorative all’interno delle poche stanze della sala da tè in cui è instaurata una rigida gerarchia. Nelle stanze della pasticceria si incontrano fragili vite proletarie e piccoloborghesi, si scambiano racconti e confessioni, si descrive quella poca vita che avviene fuori dal lavoro. È Matilde a guidare la narrazione con il suo sguardo attento e critico, con la sua posizione intellettuale più strutturata e consapevole dell’assoluta mancanza di ogni giustificazione al maschilismo e allo sfruttamento operaio. Il romanzo inizia infatti con una selezione per un impiego da dattilografa (lavoro poi effettivamente svolto dall’autrice), dove le donne vengono avvisate che sono richieste “modeste pretese”, poi prosegue con una lettera di assunzione apertamente sessista che seleziona solo donne giovani e non sposate, e richiede una foto delle candidate. Ma Matilde è la rappresentazione della donna che è calata nelle trasformazioni in atto nella società spagnola, dilaniata da forze opposte reazionarie e rivoluzionarie. In prima battuta rivendica un trattamento uguale a quello degli uomini, ma immediatamente coglie anche lo sfruttamento a cui una grande parte del mondo maschile è sottoposto, e la prospettiva della rivoluzione unisce entrambe le aspettative. Il lavoro retribuito, la cultura, l’accesso allo studio e ai divertimenti, assieme a istituti come il divorzio, rappresentano la piattaforma rivendicativa diffusa delle donne che aderiranno alla Repubblica e lotteranno per difenderla partecipando alla lotta armata, impegnandosi nel supporto logistico necessario al fronte, a supporto della popolazione civile e dei profughi. La vita dell’esilio aggiungerà alla denuncia della condizione della classe operaia, sottoposta a ricattati, precarietà e violenza, e alla scoperta dell’identità di genere, e alla necessità di specifiche rivendicazioni, un’ulteriore ingiustizia come quella del razzismo.
In Tea rooms la scrittura è parte integrante della resistenza e della lotta contro le diseguaglianze perché è denuncia, è cronaca attiva, è inchiesta. La tradizionale imposizione del lavoro domestico oltre a quello salariato, crea una cappa pesante a cui si aggiungono l’imposizione del matrimonio, le difficoltà della maternità, i pericoli dell’aborto clandestino, la perdita di dignità della prostituzione. Tutte ferite che le donne tentano di affrontare affiancandosi agli uomini impegnati nelle lotte sindacali. Sono gli anni di romanzi come Senza un soldo a Parigi e Londra e La strada di Wigan Pier di George Orwell, e La battaglia di John Steinbeck, in cui la vita operaia e lo sfruttamento sono al centro del dibattito culturale dedicato alle persone a cui è negato tutto: “Dieci ore di lavoro. Stanchezza, tre pesetas”. Approdata alla Sala da tè, Matilde intreccia le sue osservazioni sulle piccole vicende che avvengono nel palcoscenico del negozio, tutte sottolineature che indicano il livello di coscienza dell’autrice e il fine della sua scrittura. “L’inserviente, dentro la propria divisa, non è che un elemento di arredo della sala, un utilissimo accessorio umano”. E ancora, “voi qui non siete donne, siete solo inservienti”. Il ricatto è un elemento costante della vita lavorativa, la minaccia che “fuori dalla porta ce ne sono venti che aspettano” è l’elemento chiave dell’individualismo che si oppone alla solidarietà operaia e che cerca di costruire una società su principi nuovi e diversi. La tradizione, con il patriarcato, la Chiesa e il padrone, percepisce ogni minaccia al proprio modello di potere e la combatte con la più potente delle sue armi: la divisione dei lavoratori. Induce la subalternità come se fosse naturale, scambiando artatamente la permanenza al potere con un principio naturale contro il quale è impossibile contrapporsi. Ma la vita senza una prospettiva di cambiamento è misera e umiliante, al lavoratore che lotta per sopravvivere, oltre alla costante umiliazione, non rimane che “bere quel che resta del latte e mangiare le briciole rimaste nel piatto” dopo la consumazione. Ma alla rassegnazione progressivamente subentra l’orgoglio di appartenere ai lavoratori e alle loro associazioni.
A dispetto di molto femminismo successivo, Carnés esercita una netta separazione tra le donne proletarie e quelle ricche, a cui è concesso di emanciparsi attraverso la cultura e l’accesso alle università. Sono le figlie dei grandi proprietari, dei banchieri e dei ricchi commercianti, donne che non hanno mai conosciuto “le scarpe rotte o la fame da cui nascono le ribelli”. Alla ricerca di una nuova etica e di una prassi adatta ai tempi, una commessa che ha rubato i soldi dalla cassa afferma: “A noi, loro ci hanno rubato di più”.
Ma è uno sciopero che si allarga a macchia d’olio nei quartieri di Madrid a spezzare gli ultimi equilibri tra lavoratori e lavoratrici del negozio, le loro precarie esistenze giungono, una a una, a un proprio epilogo, fino al presentarsi pesante della morte. Al gelataio italiano giunge notizia dell’assassinio del figlio da parte dei fascisti, mentre una donna inesperta e illusa cerca una salvezza nell’aborto clandestino. Carnés intuisce lo scontro violento che si sta avvicinando, quella negras tormentas che apre l’inno della CNT e che chiama i lavoratori spagnoli alle barricate, uno scontro che i rivoluzionari impegneranno con tutte le forze disponibili di uomini e donne, contro l’esercito fascista che ha teorizzato in Italia e in Germania un ruolo della donna sottomesso e degradante. “Le donne si preparano a lottare contro la guerra, a lottare per la propria emancipazione, per il diritto a una vita degna. Non sono donne borghesi, con gli occhiali con la montatura di tartaruga, la cravatta e una borsa di cuoio o di tela cerata sotto il braccio. Quelle di oggi sono donne lontane dagli stereotipi, operaie povere, con un figlio nel ventre, donne che a volte non sanno leggere”.