L’ucronia al meglio

Pierfrancesco Prosperi, Il 9 maggio: cosa sarebbe successo se Hitler fosse morto a Firenze nel 1938?, Homo Scrivens, pp. 209, euro 15,00 stampa

“Gli imperi moderni quali noi li concepiamo sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti […]. La razza può considerarsi come un termine intermedio fra l’individuo e la specie, cioè fra due termini opposti, intendendo la specie, nel suo significato biologico, come la somma di tutti gli individui capaci di dare fra loro incroci fecondi”. Queste deliranti ma anche astruse parole furono scritte nel 1942 nelle pagine di Roma Fascista da Eugenio Scalfari! Sappiamo benissimo che molti uomini politici, giornalisti e comunque intellettuali che hanno contribuito a ricostruire l’Italia nel Dopoguerra erano stati coinvolti, anche se magari non in maniera pesante, con il fascismo, ma rinnovarne ogni volta la consapevolezza lascia comunque interdetti. Specie trattandosi di un esponente rigorosamente lib-lab qual è poi stato Scalfari, specie considerando invece quanti non si lasciarono coinvolgere, preferendo invece l’esilio o addirittura la morte. Un’altra citazione è di Giorgio Bocca: “Sarà chiaro a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, come ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di ridurla in schiavitù”, parole apparse su La Provincia Grande – Sentinella d’Italia il 14 agosto 1942. Il romanzo di Pierfrancesco Prosperi contiene numerose citazioni che introducono i diversi capitoli provenienti da articoli, norme legislative, diari e varie fonti storiche, compresi gli elogi che Mussolini e il fascismo degli inizi ricevettero da parte di Winston Churchill, da Pio XI e persino da Gandhi. Il lavoro di ricerca dell’autore è ammirevole e il romanzo è per più di metà un romanzo storico molto ben documentato che restituisce l’atmosfera fiorentina di quei giorni, tra aprile e maggio del 1938, che precedettero l’atteso viaggio di Adolf Hitler in Italia.

Ma, come rivela subito il sottotitolo, non si tratta esattamente di un romanzo storico ma di una ucronia nella quale si immagina che il dittatore tedesco venga ucciso in un attentato, mentre Mussolini riesce a salvarsi. Sopravvivere all’attentato accrescerà il potere del dittatore italiano, come d’altronde è storicamente avvenuto. Furono sei gli attentati contro Mussolini (i più famosi quelli di Violet Gibson, Anteo Zamboni e Gino Lucetti) e dopo ognuno di questi la propaganda ne approfittò per accrescere la fama della sua invulnerabilità. Nel caso di questo romanzo l’autore prende spunto dal fatto che, nel corso della loro giornata fiorentina, a far da guida ai due tiranni venne chiamato un altro di quegli intellettuali di cui dicevamo all’inizio, Ranuccio Bianchi Bandinelli, già allora noto archeologo, fascista tiepido o meglio antifascista non dichiarato, che accettò malvolentieri l’incarico e ammise successivamente di aver pensato a un attentato. Nessuno avrebbe controllato se egli avesse portato una pistola con sé, ma purtroppo non ebbe il coraggio o comunque non volle compiere un atto che avrebbe cambiato la storia.

Prosperi è però scrittore troppo smaliziato per raccontarci la storia in questi termini e così inventa un’altra trama, quella di quattro giovani avvocati di buona famiglia che decidono di minare un tratto dei lungarni per farlo esplodere quando la macchina dei due Capi di Stato fosse passata sopra. Naturalmente c’è poi un primo colpo di scena che non possiamo rivelare, e quasi tutto il libro assume i toni del thriller dove l’attenzione del lettore resta vigile nel seguire gli avvenimenti, fino ad altri colpi di scena e alla – altrettanto sorprendente – rivelazione finale.

Come abbiamo già scritto l’accuratezza storica è notevole, nella descrizione del percorso, in quella dei luoghi e degli edifici coinvolti (e non sorprende perché Prosperi è anche architetto e urbanista) e, in particolare, ricostruendola vita e gli incontri che avvenivano nei bar frequentati dall’élite, quali Doney o le Giubbe Rosse. Inoltre inserisce gustose notazioni, come quando fa presente che era in programma l’audizione di un atto del Simon Boccanegra, ma, si chiede, Mussolini e Hitler sapevano che racconta la storia di un tiranno? Alla ricostruzione l’autore affianca una buona dose di inventiva divertendosi a scrivere finti articoli e imitando, sulla base delle citazioni reali, lo stile di Scalfari e di Bocca, coinvolgendo Sergio Romano, Palmiro Togliatti e Giulio Andreotti! La storia, infatti, prende un’altra strada, e, con la morte di Hitler la Seconda Guerra Mondiale non scoppia, il fascismo si consolida e i personaggi citati ne sono coinvolti in questa nuova società italiana. In effetti dobbiamo chiarire che il romanzo è ambientato nel 1969, anno della morte del Duce, e che la storia è raccontata con dei flashback nel 1938, con qualche puntata negli anni Cinquanta e nel 1962.

Pierfrancesco Prosperi è, assieme ai più anziani Renato Pestriniero e Mauro Antonio Miglieruolo, il decano degli scrittori italiani di fantascienza, avendo iniziato a pubblicare nel 1960, appena quindicenne. Da allora ha pubblicato ben 28 romanzi (compresi horror, gialli e spy-stories) e un numero sterminato di racconti, molti dei quali ripresentati nell’antologia celebrativa dei primi cinquant’anni di attività Il futuro è passato, apparsa da Bietti nel 2013. La sua produzione letteraria è caratterizzata dal fatto che non usa quasi nessuno degli stilemi più emblematici – secondo la vulgata corrente – della science fiction: nelle sue opere non ci sono astronavi, mostri e robot (utilizzati con parsimonia solo a inizio carriera), ma coerenti speculazioni sulla società e sulle persone, ottenute con il ricorso alla distopia e all’ucronia, due modelli narrativi ai quali si è dedicato con passione. Oltre a romanzi come Seppelliamo Re John (Urania 1533), Autocrisi (Urania Collezione 98), Garibaldi a Gettysburg (Nord, 1998), è di particolare rilievo la quadrilogia dedicata alla diffusione dell’Islam, iniziata nel 2007 con La moschea di San Marco (Bietti) e conclusa nel 2018 con Bandiera Nera! (Tabula fati), in cui si immagina l’avvento di un partito musulmano nel panorama politico italiano e le conseguenze che ne derivano.

Nella postfazione di Gianfranco de Turris – oltre a leggere il testo con l’ottica di destra che gli è abituale e che anche in questo caso non è del tutto giustificata – si rileva che “Il 9 maggio… travalica la tradizionale Storia Alternativa che spesso tende a essere semplicistica perché ricalca cose dette mille volte. Qui invece nulla è scontato, come i lettori si renderanno conto”. Si comprende l’intenzione di manifestare apprezzamento per il lavoro di Prosperi, ma occorre una precisazione, non è che il romanzo travalichi la storia alternativa, è che in genere gli altri scrittori che si sono dedicati a questo genere (genere a sé o sottogenere della fantascienza: fate voi) non abbiano l’accuratezza e la sensibilità dell’autore aretino e si lascino trascinare dalla fantasia più sfrenata e sconclusionata. Prosperi è certamente un autore che si caratterizza per un’approfondita documentazione e per l’istituzione di un rapporto coerente tra storia reale e alternativa.

In definitiva si tratta di un romanzo curato e avvincente, che si potrebbe collocare nella corrente del “fantafascismo”, etichetta che da qualche lustro viene proposta, specialmente da piccole case editrici politicamente orientate e nostalgiche del passato regime, forse con l’illusione di cancellare la realtà storica  rifugiandosi in un immaginario molto poco coerente, almeno a giudicare da certi romanzi che vedono addirittura l’Italia fascista diventare una superpotenza mondiale (per esempio il ciclo di Occidente (Nord, 2001) di Mario Farneti). Nel libro di Prosperi, invece, l’esperienza fascista non è vista da destra e non è frutto di un’operazione nostalgica, come testimoniano alcune citazioni attribuite allo stesso Mussolini che, a proposito di Hitler, dichiara alla moglie Rachele “è degno nipote di Attila. È un uomo spietato e feroce” e che in un’alta occasione confida “[I gerarchi] sono tutte carogne”.