Nel composito mondo degli artisti v’è chi lascia una traccia indelebile, che trascende il tempo in cui ha vissuto e operato. Tra questi, va senz’altro annoverato Lucio Dalla, un uomo dai multiformi talenti e dal genio prismatico.
Questo assunto è ben testimoniato dal volume pubblicato di recente dal Saggiatore e curato da Jacopo Tomatis, autore di una corposa introduzione che apre le porte al variegato mondo del cantautore bolognese. Vi sono raccolte 61 interviste rilasciate da Dalla nell’arco di quarantacinque anni, dal 1966 al 2011, apparse su vari giornali e periodici: da Playmen a Famiglia Cristiana, da L’Europeo, L’Espresso e Panorama a Ciao 2001, da L’Intrepido a Minima & Moralia, dal Guerin Sportivo a l’Unità, passando per la Radio e la Tv di stato. Precedute da brevi note esplicative che ne contestualizzano tempo e argomento, esse seguono cronologicamente la vita e la produzione artistica di Dalla, del quale ascoltiamo la voce non solo in risposta a precise domande, ma anche in testi da lui redatti: quello per la rivista Big (1967), giocato sull’ironia, il nonsense e il calembour, quasi a suffragare l’immagine di personaggio anomalo e stravagante che egli dava di sé in quel periodo; la prefazione al vetriolo comparsa nel libro a lui dedicato dall’editore Savelli, Il futuro dell’automobile, dell’anidrite solforosa e di altre cose (1977); gli splendidi articoli commissionatigli dal quotidiano La Stampa (1991-92), in cui dimostra una notevole abilità narrativa; il pezzo scritto per Musica! (1997), dove si lascia andare a ricordi dedicati a Roma, ricostruendone una sua personale geografia.
L’attività artistica e culturale di Lucio Dalla è stata quanto mai densa e multiforme, e questo libro ci rende un uomo che ha fatto della contraddizione e della costante metamorfosi la propria carta d’identità: “un po’ venerato maestro un po’ guru folcloristico”, scrive Tomatis, “sembrano esistere molti Dalla diversi, dalle ambizioni e dagli esiti artistici altrettanto variegati”. A partire dagli esordi come clarinettista jazz sul finire degli anni ’50 (giovanissimo, suonò con mostri sacri quali Eric Dolphin, Charlie Mingus, Chet Baker), al mestiere di cantore (come amava definirlo) con la produzione di decine di dischi e migliaia di concerti tenuti in tutto il globo, alle collaborazioni nelle più varie vesti (autore, arrangiatore, produttore, promotore) con una foltissima schiera di artisti, all’insegnamento universitario, alla collaborazione con quotidiani e riviste, al teatro (è stato autore di dotte note di regia per L’opera del mendicante di John Gay, ha riscritto la Tosca, diretto come regista opere di Stravinskij e Ferruccio Busoni), al cinema (ha recitato in diversi film, ancor più ne ha musicati), alla conduzione di programmi televisivi, alla narrativa, con un libro di racconti.
Il filo rosso di questo “vortice bulimico di attività” è l’acceso desiderio di interazione, di dialogo con il pubblico: “La canzone è un momento comunicativo avanzato”, dice Dalla a un giornalista di Radio Uno nel 1975, e la parola “comunicazione” appare di continuo nelle interviste. Ma è evidente anche il desiderio di giocare e divertirsi, e una costante tensione verso il futuro, un radicato bisogno di rinnovarsi, che trovano riscontro nella produzione discografica, fatta di clamorosi mutamenti di direzione (“cambio le cose, non mi fermo mai”), di “una riconversione di analisi e di metodo”, come spiegò nel 1977 alla rivista Popster, intervento interessante anche perché racconta come nacque la collaborazione con Roberto Roversi e il suo debito artistico verso il poeta bolognese.
Numerosi i temi presenti nelle interviste: dai significati delle sue canzoni e i modi in cui sono nate, alle considerazioni sul panorama musicale, al rapporto con il pubblico, alle dinamiche discografiche. Dalla discetta di tutto, non solo di musica: del ruolo degli intellettuali e la comunicazione politica, degli eventi nostrani e internazionali, di censura e violenza, di amore, futuro, religione, delle tante dimensioni creative di cui si è occupato, di media, di sport, di fumetto (sua grande passione), del suo vissuto e i rapporti con città e luoghi d’elezione (Bologna, Roma, Milano, la Sicilia, le isole Tremiti). Ogni argomento è affrontato con acutezza, in equilibrio tra gioco e ironia, ma anche con sapida vis polemica.
Da questi interventi appare lampante una cultura poliedrica, che s’innestava su un’inestinguibile curiosità per il mondo e per l’altro da sé. A questo proposito è imperdibile l’intervista rilasciata a L’Europeo nel 1971, una sorta di inno all’anticonformismo e alla diversità, dove Dalla spazia dal jazz, alla letteratura, alla pittura, citando Kafka, Kerouac, Robbe-Grillet, Babel, Pasolini, Grosz. In altre fa riferimenti a Pratolini, Sartre, Yourcenar, Caravaggio, Klimt e numerosi altri pittori: l’intervista a GC del 2008 è interamente dedicata all’arte figurativa, altra sua grande passione. A segno della sua notevole personalità, spicca la straordinaria intervista rilasciata a Giorgio Bocca, apparsa su L’Espresso il 29 luglio 1979: un match tra giganti, l’Artista e il Giornalista, dove “ognuno gioca il suo gioco” (come nota lo stesso Bocca, che a fine pezzo confessa: “Sei l’intervista più difficile che abbia fatto in vita mia”): un autentico spettacolo pirotecnico.
Dunque, il Dalla che emerge da queste pagine è un uomo energico e adrenalinico, ironico e mai banale, colto ed empirico; un artista in continua, feconda mutazione, a suo agio nella dimensione comica e dissacrante (“Sono un gran bugiardo, un affabulatore da osteria”, dice di sé nell’ultima intervista, pochi mesi prima della morte), come in quella impegnata e autoriale, perfettamente consapevole dei momenti storici e delle mutazioni sociali e del gusto del tempo che ha percorso; un individuo dotato di una naturale saggezza che gli ha permesso di valutare le dinamiche commerciali e di cavalcarle con grande senno, nelle varie fasi d’una lunga carriera.
Ma anche un altro aspetto rende particolarmente interessante questo libro: nelle sue pagine sfila la storia politica e sociale, culturale e di costume del nostro Paese. E non potrebbe essere altrimenti, visto che l’attività artistica di Dalla attraversa generazioni e parabole storiche diverse, dal finire degli anni ’50 all’inizio del nuovo millennio.
È una storia affascinante, narrata da una voce briosa e intelligente, ironica e mai scontata, talvolta elusiva e sfuggente (per esempio sulle domande riguardanti l’omosessualità e la sfera privata). Ognuno vi ritroverà il proprio Lucio Dalla, mentre per chi non abbia avuto l’opportunità o la voglia di conoscerne l’arte e la vita, sarà certo una suggestiva scoperta. Perché nelle sue contraddizioni, nelle perenni metamorfosi della vastissima gamma creativa, Dalla è stato davvero di tutti: “Io sono veramente senza generazione. Non sono mai stato giovane e non sarò mai vecchio”.