Luciano Floridi / Una concezione dei fenomeni informativi

Luciano Floridi, Filosofia dell’informazione, tr. di Massimo Durante, Raffaello Cortina Editore, pp. 392, euro 26,00 stampa, euro 18,00 epub

Nel 2011 Luciano Floridi pubblica Filosofia dell’informazione come saggio complessivo rivolto alla platea accademica poco dopo la pubblicazione di un testo breve e divulgativo (Information: A Very Short Introduction, 2010), sempre per Oxford University Press. Si tratta di una raccolta specialistica di testi destinata a sistematizzare un viaggio intellettuale iniziato una decina di anni prima, a cui fa capo anche l’annuncio di un nuovo campo filosofico, in un’epoca apparentemente caratterizzata dall’inverarsi della teoria dell’informazione davanti ai nostri occhi. E a gettare le basi della successiva riflessione di Floridi.

Nella visione del filosofo infatti «la forza trainante dell’innovazione filosofica è diventata necessariamente esterna». Se in passato questa spinta arrivava dalla teologia cristiana, dalla “scoperta” di altre civiltà, dalla rivoluzione scientifica, dal darwinismo o dalla fisica einsteiniana – per citare alcuni esempi storici – oggi «la forza dall’innovazione è costituita dal complesso mondo dei fenomeni dell’informazione e della comunicazione».
Come nuovo campo del sapere la Filosofia dell’informazione (FI) – che Floridi quindici anni fa presenta inevitabilmente anche come “erede” della Filosofia dell’AI di Aaron Sloman – si occupa sia della natura concettuale e dei principi scientifici alla base dell’informazione che di metodologie computazionali applicate a problemi etici e filosofici. Il progetto non approda, a scanso di equivoci, a un’ontologia digitale del genere “It from bit”, e non ipotizza un universo immateriale di pura informazione, celato sotto al tappeto di quello “materiale”. All’opposto, lo sguardo di Floridi si rivolge esplicitamente alla lezione di Kant di cui condivide energicamente agenda e aspirazioni – («proteggere le frontiere della filosofia dalla cattiva metafisica e dal puro dissenso»). Lo schema di pensiero chiarisce anche una sostanziale neutralità ontologica nella sua impostazione generale: non è possibile informazione senza rappresentazione dei dati ma, non necessariamente, senza un’implementazione materiale.

A partire dalle definizioni “classiche”, fornite da Norbert Wiener (“l’informazione non è materia o energia”) e Gregory Bateson (“una differenza che produce una differenza”), e ai problemi sollevati, Floridi parte a ingegnerizzare la sua FI. La teoria, come si chiarisce nei capitoli centrali (4-7) del volume, si richiama a una definizione semantica di informazione come dato “significativo e veritiero”. Un contenuto è vero – cioè “rilevante” in quanto informazione – se il modello risulta affidabile e può essere utilizzato dall’agente – umano o artificiale – per mappare e navigare il sistema. La disinformazione – quand’anche ben formata e significativa – viene esclusa dal modello in quanto non rilevante.
Come è stato osservato, Floridi prende in prestito profili metodologici nati nell’ambito delle discipline cibernetiche, per estenderli e rielaborarli nello sviluppo della sua FI. Anche se qui non espressamente richiamata, ad esempio, la nozione informatica di “livello di astrazione”, enunciata altrove dal filosofo come una tipologia di interfaccia che permette l’accesso al mondo. Qualsiasi problema teorico, in pratica, va approcciato rispetto a un livello di astrazione definito e non in termini assoluti, per non generare confusione.

Nell’ultimo capitolo, il più informale, Floridi si concentra sul significato di una nuova concettualizzazione, il capitale semantico, definito come «il contenuto che può accrescere il potere di qualcuno nel dare significato e nel cogliere il senso di qualcosa», sottolineandone anche i rischi nel contesto storico e politico, con un anticipo di qualche anno rispetto al successivo dibattito sulla post-verità. Trattandosi, per linguaggio e impostazione, di una trattazione chiaramente accademica, va detto che il testo può non risultare di facile e agevole lettura per tutti (ad esempio non per me) almeno nei capitoli più analitici della raccolta.