Lucetta Frisa / Poetessa a Genova

Lucetta Frisa, La lezione degli dèi, New Press Edizioni, pp. 77, euro 12,00

I miti e le leggende, libro di versi del 1970, fece parlare la Genova della poesia di mezzo secolo fa. C’era chi conosceva l’autrice, chi diceva di conoscerla senza darne prove e chi si meravigliava sottovoce di quel “ritmo” che già all’epoca sembrava evocare un teatro della vita in cui anche le favole terrestri entravano in relazione con il divino nella scena del mondo. In alcuni salotti Stefano Verdino, volenteroso, si preparava a definire la propria attenzione verso la poetessa, alcuni anni prima che maturassero le idee di poesia di Milo De Angelis e Giuseppe Conte. Veri salotti di amici, attenzione, dove comandavano senza darsi troppe arie tubi catodici destinati a un paio di canali TV e una delle prime edizioni, sgualcita ma invidiata da molti, dei Canti orfici di Dino Campana (Vallecchi 1928), appartenente a Ettore Bonessio: con Lucetta fu lui (in quei tempi gran visir della comunicazione poetica genovese) ad aprire una via non fuggevole di amicizia e continuità di attenzione. La realtà poetica nelle anguste carreggiate liguri ricominciava a circolare là dove Montale l’aveva abbandonata scegliendo luoghi centrali come Firenze e Milano. E siccome la realtà del mito non si pavoneggia soltanto di giardini a picco sul mare e ginestre trasfigurate ma rivolge spesso il proprio pensiero alle traversie psichiche della mente umana, ecco che nelle poesie di quel primo libro, oggi come allora, troviamo un eros inciso con cura calligrafica, e un primo esuberante viaggio della mente nelle regioni più luminose e inflessibili. Là dove, appunto, gli dèi si fanno più stupidi degli uomini passando dall’irreale al reale. Frisa l’ha sempre saputo, osservando lo scenario in cui operano, e dunque nelle nuove poesie della Lezione degli dèi indaga il foltissimo serraglio divino, scoperchiando bassezze e potenze di tutta quella carne “olimpica” il cui destino appare ancor più di condanna: “l’insensatezza dei confini segnati / dalle cose”.

Gli dèi a cui guarda Frisa non sono statue congelate nella storia, ma entità che vengono incontro agli uomini palesandosi con gli stessi sensi usati da saggi e ribelli, e dove alla bellezza sono entrambi – dèi e uomini – dediti fino all’estremo del fuoco guerriero. In ogni poesia le ore sono intrise di eventi clamorosi, o troppo fuoco o troppa acqua nelle storie viste e vissute. Una lezione definitiva: “Scegliendo la vita voi / avete scelto il tempo – l’andare sempre avanti / più nudi, più delusi”. Troppe impossibilità nella vita portano alla poesia: più di un serial killer dimora nelle alture abitate dagli dèi, ci vuole molto prima che cantori classici, poeti epici e altre varietà umane riescano a tenere vivo un ritmo difensivo. Frisa ne fa uso da sempre, lo dimostra la folta bibliografia fedele agli spazi sonori del verso, alla “scena” vocale mai abbandonata. Decenni di aerea volontà, dove la parte femminile s’incarna in Ifigenia, Nausicaa, Cassandra, portate nei luoghi genovesi davanti al mare, dove mare e grotte conservano meglio il tempo. Un tempo che migliora la luce al tramonto: “Sempre il tramonto, mai l’alba”. Ma solo in vita c’è previsione della vita.

Frisa non interroga gli dèi, ma si riconosce interprete di queste figure bramose di mondo, e impazienti di apostrofarci con una lingua fatta di azione, vendette, stupri, desideri infuocati, misfatti – per poi abbatterci come fossimo il loro bestiame. Frisa insiste con una poesia talmente legata all’esistenza da convertirsi nella forma più classica della modernità dopo la modernità. Poiché non si parla con gli dèi ma si tiene testa alla loro massa informe, filtrandola affinché si trasformi in forza psichica: quella sostanza che un poeta cosciente dei suoi mezzi fa diventare scrittura riconoscibile come verifica di esistenza al mondo. La lezione degli dèi non è una vera lezione, ma il catalogo aggiornato di una poetessa che dopo svariati decenni – pur dimorando ancora nella Genova di scalinate e oscurità – tiene fieramente stretto il fardello del dialogo con il mito, residenza di quell’invisibile aggiornato all’attualità in cui siamo maledettamente immersi.