A occhio e croce, l’ultima volta che ho guardato il festival di Sanremo sarà stato forse il 1983. Non penso sia lo specchio della musica italiana, se non per quel vasto pubblico che raramente acquista musica, o per qualcuno all’estero che non parla italiano e non capisce le parole. Anche l’edizione di quest’anno non ha fatto eccezione; però captando una canzone qua e una là, radio o internet, sono rimasto catturato da un ritornello, “Con le mani, con le mani, con le mani, ciao ciao! Con i piedi, con i piedi, con i piedi, ciao ciao!” – che a leggerlo sembra il consueto refrain svuota-cervello: certo, perché non c’è la terza dimensione, quella musicale. Però se lo ascolti, ti accorgi innanzitutto che inizia e finisce con un accordo in minore, e che qualcosa contraddice l’ottimismo pronta-cassa delle nude parole.
Ascoltiamo poi anche delle strofe: “Mentre mangio cioccolata in un locale / mi travolge una vertigine sociale / mentre leggo uno stupido giornale / in città è scoppiata una guerra mondiale”. Ecco, Ciao ciao è una canzone sulla fine del mondo. Scopro che canta La Rappresentante di Lista, un duo interessante che ho notato già da qualche anno; avevano iniziato come folk contemporaneo, testi surreali ma orecchiabili per ballate acustiche, che si ficcano nel cervello e non ne escono più. Ne fanno parte la toscana Veronica Lucchesi e il siciliano Dario Mangiaracina, entrambi poco più che trentenni, con quattro album di canzoni alle spalle: si contraddistinguono esteriormente per un look aggressivo che cerca di superare il gender e le sue convenzioni. Scavando sotto le apparenze, si scopre una miniera di testi interessanti e soluzioni musicali originali. Ed ecco che – scoperta! – Lucchesi e Mangiaracina hanno pubblicato un libro per il Saggiatore, intitolato Maimamma, parallelo alla distribuzione del quarto disco dal titolo foneticamente simile, My Mamma, un pop elettrico e brillante che batte anche sul tasto della fine del mondo.
Perché proprio questo è lo sfondo del romanzo: la fine del mondo. Ma non quella metaforica del rock ’n roll, Oh Baby se la Fine del Mondo, no: davvero il mondo ha una scadenza, “come uno yogurt nel frigorifero”, come in Five Years di David Bowie, ma più vicina purtroppo. La protagonista Lavinia è una trentenne che vive in una qualsiasi città italiana, Palermo per esempio, in una situazione di massima incertezza, dal momento che chiunque sa che il crollo è vicino, e questo è un dato inconfutabile.
Perché? Gli autori non lo dicono, si legge solo che talvolta i protagonisti devono indossare una maschera antigas – ma a ben vedere la ragione non è così importante. Lavinia, che ha una relazione quasi fissa con una coetanea di nome Alice, conosce un ragazzo, Lu; con lui vive una breve, intensa storia d’amore, raccontata senza inibizioni. Come risultato, mentre il mondo si avvia al suo inevitabile termine, una nuova vita nasce nel ventre di Lavinia. I due motivi, eros e thanatos, si intrecciano: una direzione porta verso la fine della Vita, con l’iniziale maiuscola, per tutti coloro che vivono sul pianeta Terra, e l’altra proviene dall’inizio di una nuova vita, di una bambina in embrione (Amelia?). Oppure Lavinia non diventerà mai-mamma?
Maimamma è un libro spiazzante, diviso tra un dolore comprensibile e una minuta speranza, una vita che lotta indifferente di cosa l’aspetta fuori. La voce di Lavinia è forte, empatica, impossibile non identificarsi nel personaggio, nel pudore della sua sofferenza. Come tutti, cerca di pensare il meno possibile alla FdM, però il tema è sempre lì sullo sfondo, tutto il tono della narrazione ne rimane condizionato.
La generazione di Lavinia vive sotto la spada di Damocle della catastrofe ecologica; la protagonista, personalità sensibile, soffre dell’impotenza d’impedire un disastro, che va oltre il dato fisico della morte del pianeta: “Il senso della vita è proprio questo. Per millenni i tuoi simili hanno risolto tutto credendo che quel dono l’abbia portato un dio. Ma adesso che Dio è morto?” Questo romanzo dolente ma non rassegnato, intimista ma non disperato, è il canto di una generazione che ha ereditato il baratro morale del capitalismo globale, e non riesce a vedere soluzioni per evitare la fine del mondo.