E le chiamano estati

Luca Ricci, Gli estivi, La nave di Teseo, pp. 238, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Dopo l’autunno, l’estate. Il tempo scorre all’indietro. Gli estivi è il secondo romanzo della quadrilogia sulle stagioni ideata da Luca Ricci seguendo una sensibilità che vuole eccitare il lettore attingendo a un guardaroba distintamente prodigo di dialoghi. E di visionarietà. Entrambe le cose girano benissimo nelle pagine del libro, sembrano alludere a caratteri dionisiaci, a scrittori informati a dovere sulle fanciulle stupide e su quelle tanto intelligenti da riuscire a fotterli con meticolosità. Luca Ricci la sa lunga su autori e editori, forse c’incanta con le sue esperienze personali, e forse no. Probabilmente si vendica di qualche amico non occasionale, ma l’invenzione negli Estivi non si nega una prorompente atmosfera cordiale e talvolta servizievole.

Nel romanzo la cordialità serve a rendere digeribili le storielle inventate o sognate da uno scrittore in crisi con la propria attività e, a dirla tutta, con le proprie ghiandole ormonali. Settantenne nelle maglie del Circeo vacanziero, e i cui ultimi residui d’intelligenza si dispongono per bene soltanto nei dialoghi con la moglie Ester (personaggio interessante e niente affatto secondario), molto più arguta e sagace di lui. Il protagonista viene inseguito per quindici capitoli, e altrettante estati in cui le giornate si spandono fra sogni a occhi aperti e desideri nemmeno tanto reconditi verso fanciulle la cui “estività” si traduce in odori sparsi ovunque, lazzi distribuiti senza tante cerimonie e qualche tragedia tenuta nascosta.

Non ci sono nobiltà al Circeo, lo sguardo dello scrittore intravede ragazze avvenenti nella notte di San Lorenzo, ma lo stesso sguardo s’intenerisce soltanto alla presenza dell’amico editore, quello che dice parole terribili sugli scrittori e si capisce che sta corteggiando la fine: del proprio mestiere e forse della vita. Mentre gli anni, e le estati, volano via come fossero mesi, qualcosa accade, e qualcosa di imperdonabile accade nel disegno lucido (e in qualche modo spietato) messo in scena da Ricci nel suo racconto. Sono sempre cose attinenti all’amore, al desiderio, al matrimonio, e alle azioni delle persone che scrivono per salvarsi la pelle. Ma Ricci sa bene che non c’è salvezza in nessuna di queste, dunque mette a disposizione la sua bravura affinché Gli estivi si trasformi in un vademecum a uso di fidanzati e consorti, meglio se interessati alla letteratura e di genere maschile in entrambi i casi, col preciso intento di renderli più intelligenti, o almeno attenti alle svolte pericolose sempre in agguato dietro un angolo o sotto una gonna.

Certamente in ogni capitolo, in ogni estate, gli ammiccamenti e i trucchi stagionali si susseguono, confezionati con maestria e proposti come in certe pubblicità viste nei tardi anni Sessanta, alla fine del boom, quando pochi si accorsero che non c’erano le istruzioni per salvarsi dal gorgo. Al protagonista sembra di avere un unico problema, l’invecchiamento, ma tutto intorno a lui si sfalda come l’etichetta della gassosa sul bancone del bar. È un animale morente, non solo per gli ormoni squilibrati, ma perché i goffi tentativi che dovrebbero preservargli la fiducia in sé non ottengono che diffidenza e una discreta dose di disprezzo. Quando Ricci, con impeccabile impegno, ci descrive gli atteggiamenti delle fanciulle presenti al Circeo e inseguite anno dopo anno, viene in mente la Brigitte Bardot del Disprezzo, il film di Jean-Luc Godard sottratto al romanzo di Moravia per prenderci di peso e calarci in un Mediterraneo Olimpico (nel senso degli Dèi) e Omerico (nel senso di Ulisse). Lì si agitano registi visionari, produttori pazzi e scrittori in crisi a cui il denaro serve, ma servirebbe anche vederci chiaro nell’animo di una donna bellissima e irraggiungibile. Una donna giovane che disprezza, appunto.

Ma la digressione non porti fuori strada, il lettore deve più di tutto seguire il percorso tracciato (per così dire l’avventura) con meticolosità da Ricci, capace di seguire con una specie di steadycam temporale l’uomo che guarda molto e poco decide, prigioniero di un tempo sempre uguale, torrido e racchiudente ogni cosa nel buio. Ma l’estate, si sa, rinasce dalle ceneri, ritorna sempre uguale ma con lievi slittamenti di significato, quasi inavvertiti, che mandano in malora desideri, slanci, e cellule umane. Insomma tutto quanto sta dentro la letteratura, a patto che chi scrive abbia la grazia di rappresentare gioco e tragedia insieme. Come in questo caso.