Non è un libro di storia, ma un libro per l’oggi! Tutto è perfetto in questa nuova traduzione e curatela di Dynamite! Storie di violenza di classe in America , il libro esplosivo e mitico di Louis Adamic: dal punto esclamativo del titolo, che manca nell’originale ma che rinvigorisce questa edizione, all’introduzione e alla postfazione di Andrea Olivieri, traduttore e curatore, fino alla scelta della casa editrice di dedicare due copertine al libro per segnalare l’appartenenza incrociata sia alla collana Quinto tipo, diretta da Wu Ming 1, che a Working Class, diretta da Alberto Prunetti.
Dynamite! racconta la lotta di classe negli Stati Uniti, quella che ha prodotto il conflitto radicale per un lungo periodo di tempo, più che in qualsiasi altro paese industrializzato del mondo. È la storia del brutale sfruttamento, dei massacri e degli omicidi giudiziari dei lavoratori. È anche la storia della risposta degli wobblies, i militanti degli Industrial Workers of the World, l’organizzazione sindacale rivoluzionaria nata nel 1905, di cui Adamic condivide il progetto di un solo sindacato non di mestiere ma articolato per linee industriali e visione rivoluzionaria, alternativa al capitalismo. Quando gli scioperi pacifici non davano risultati, i lavoratori si battevano con ogni mezzo necessario. Dagli anni ’90 del XIX secolo agli anni ’30 del XX secolo, non passava quasi un anno senza che si verificasse un grave scontro, spesso mortale, tra lavoratori e dirigenti. Adamic ha descritto molti di questi conflitti, dai Molly Maguires all’Homestead Strike, dal Pullman Strike alle guerre sindacali del Colorado, dall’attentato al “Los Angeles Times” al caso di Sacco e Vanzetti.
Se gli Stati Uniti sono tristemente celebri in ogni angolo del pianeta per l’imposizione con le armi della pax americana (e per questo aspetto è sufficiente la consistente controinformazione di Noam Chomsky a dimostrarne i misfatti), meno conosciuta è la repressione interna dei movimenti sociali, dove capitalismo e stato si alleano per debellare ogni conflitto. Per farsi un quadro più completo, vale la pena di ricordare almeno l’autobiografia di Emma Goldman, Vivendo la mia vita (si veda la recente edizione pubblicata da “I Quaderni di Paola”), e il saggio storico di Bruno Cartosio, Wobbly! L’Industrial Workers of the World e il suo tempo (Shake edizioni). Per allargare il campo culturale merita segnalare il volume di Alessandro Portelli, We shall not be moved. Voci e musiche dagli Stati uniti, 1969-2018 (Squilibri, 2019 – libro + 4 cd). Alessandro Portelli intesse un patchwork attraverso canzoni e registrazioni dal vivo e ci racconta in maniera entusiasmante e rigorosa oltre un secolo di lotte e controcultura americana che nemmeno la repressione prima e il maccartismo poi sono riusciti a eliminare del tutto.
Ma torniamo a Dynamite! e al suo autore. Adamic emigrò a quattordici anni negli Stati uniti dalla Slovenia, allora facente parte dell’impero austro-ungarico, è stato autore di libri importanti, tra cui: Laughing in the Jungle. The Autobiography of an Immigrant in America (1932); The Native’s Return. An American Immigrant Visits Yugoslavia and Discovers His Old Country (1934); Grandsons. A Story of American Lives (1935); My America (1938); My Native Land (1943); The Eagle and the Roots (1950). Padre non riconosciuto del New Journalism, cantore delle comunità meticce dei nuovi proletari arrivati da tutto il mondo, agitatore politico e, nel secondo dopoguerra, sostenitore della Iugoslavia. Nella sua vita ha incrociato intellettuali, tra cui John Fante, Upton Sinclair, Carey McWilliams, politici come il maresciallo Tito, Gaetano Salvemini, Edward Kardelj e oscuri rivoluzionari che non si sono mai piegati.
Nei risvolti di copertina di questa nuova traduzione italiana, Prunetti e Wu Ming 1 argomentano la scelta di pubblicare il libro nelle collane da loro dirette: “Tra saggio ed esposizione narrativa di fatti reali con tecniche letterarie, un racconto sulla classe operaia scritto dentro la condizione operaia: così Dynamite! storicizza in maniera partigiana il conflitto tra capitale e lavoro, raccontando le storie della violenta lotta di classe nordamericana in tutta la sua brutalità, per togliere ogni velo di agiografia alla rappresentazione stereotipa della classe lavoratrice”, scrive Prunetti. E Wu Ming 1, precisa come la scrittura di Adamic sia una “rivolta nello stile, non solo nel contenuto. Scrivendo di sabotaggi e scioperi selvaggi, delle sommosse di un proletariato multietnico e reietto, di repressione, uccisioni e racket, di cinquant’anni di guerra di classe negli Usa, Louis Adamic non poteva adottare il punto di vista ‘obiettivo’. Adamic non stava in tribuna ma in campo. Quelle storie le aveva vissute, le aveva in corpo. Il suo Dynamite! è un classico e una pietra miliare perché lo scrisse con ogni mezzo necessario, in un mélange di stili idiosincratico, all’epoca azzardato, alternando ricostruzione storica e racconto epico”. Wu Ming 1 sottolinea il lavoro che Adamic compie sulla lingua abitando l’Inglese da straniero (nato a Grosuplje, in Slovenia) ma cercando di possederne ogni registro, dallo slang più marginale ai tecnicismi dell’economia e delle scienze sociali. Così come aveva fatto anche Andrea Olivieri nel suo Una cosa oscura, senza pregio (uscito nel 2019 sempre da Alegre), un romanzo strabiliante scritto a Trieste, luogo di confine e contaminazione e – come sappiamo dal saggio Kafka. Per una letteratura minore di Deleuze e Guattari – è proprio in questi luoghi che le lingue si tendono, mutano e permettono risultati creativi. Praga di Kafka, Mitteleuropa di Canetti, Galizia di Sacher Masoch, Dublino-Parigi di Beckett e Joyce, ma per quest’ultimo anche Trieste, la stessa città di Svevo.
Scrittura innovativa, reportage giornalistico, storia e storie, romanzo ribelle, questo mix ha reso celebre il libro e apprezzato da movimenti antagonisti (non a caso fu testo di culto per i ribelli del 1977, che lo lessero nella prima edizione, pubblicata proprio in quell’anno dal Collettivo editoriale libri rossi), ma anche da fini teorici come Mike Davis (anche nella scrittura dell’urbanista critico americano si fondono analisi marxista e visionarietà letteraria), che in Citta di quarzo cita Adamic come appartenente al versante distopico del noir (per il romanzo Laughing in the Junglee) e lo apprezza per l’analisi sociale e la scrittura di Dynamite!. Bertold Brecht omaggia Adamic nella poesia Demolizione della nave Oskawa ad opera dell’equipaggio (come mette in evidenza Olivieri nell’introduzione); Philip Roth lo cita in Lamento di Portnoy; Valerio Evangelisti rifletté a lungo sul libro di Adamic, dedicando alla lotta di classe negli Stati Uniti tre romanzi: Antracite, Noi saremo tutto, One big union.
Infine la Postfazione: nelle quaranta pagine finali, Andrea Olivieri dà conferma del talento letterario e intelligenza politica dimostrati con il suo “romanzo” precedente, di cui in qualche maniera sono una continuazione. Olivieri segnala differenze e analogie tra i fatti narrati in Dynamite!, l’attualità della analisi di Adamic, e le esemplifica nelle lotte dei sindacati di basi nel settore della logistica, con la repressione brutale della polizia e con l’omicidio di Abd Elsalam e di Adil, nel lavoro di bambini immigrati negli Usa e in Italia, nelle condizioni di sfruttamento estremo in molti settori, tra cui quello della ristorazione e della grande distribuzione, anche di Legacoop e Coop Italia, misero rimasuglio dell’eredità cooperativistica. E poi ancora l’esperimento di controllo sociale avvenuto durante la pandemia, periodo in cui i soli lavoratori della logistica erano stati trattati come fossero immuni da contagi e costretti a lavorare nelle stesse condizioni di sempre. E poi ancora l’utilizzo da parte del sistema del “mostro anarchico”, “creatura mitologica capace di trame oscure ed eversive ben oltre i limiti del verosimile”, decostruendo la montatura giudiziaria e mediatica che ha colpito Alfredo Cospito. Olivieri mette in relazione sapientemente tutto questo, sulla strada di quei movimenti, pensatori e attivisti – storici e contemporanei – che non hanno mai ammainato la bandiera della rivoluzione e dell’immaginazione, ma hanno cercato di ristabilire il punto d’incontro in cui creazione e trasformazione complessiva battono lo stesso ritmo, cospirano assieme. E facendolo vivifica anche il testo di Adamic.