Loretta B. Angiori / Una libellula liberata

Loretta B. Angiori, Libellule nella rete, Zona 42, pp. 326, euro 15,90 stampa, euro 7,99 epub

Dietro lo pseudonimo di Loretta B. Angiori si trova Loretta Borrelli, progettista multimediale, docente all’Accademia di Brera, impegnata nel network AHA (Activism, Hacking, Artivism), studiosa e critica del rapporto tecnologia e società. Come alcuni dei protagonisti di questo romanzo, un nome ulteriore non serve per celare l’identità, per nascondersi e ingannare, ma per prospettarne una diversa, per favorire la ricerca di quella molteplicità che è in noi. È sempre stata una caratterista della fantascienza di ogni epoca offrire spunti per una riflessione su come si struttura ed esprime l’identità umana, e su come i riti sociali dialoghino con essa, ma, soprattutto, sondare e pungolare lo stretto rapporto che intercorre tra individuo, tecnologie e società. Nel racconto di Samuel R. Delany, pubblicato nel 1968 e intitolato “Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose”, il protagonista parla di sé e afferma: “quanti nomi ho avuto da allora; ma non preoccupatevi che riconoscerete la mia traccia”. Come è diventata la caratteristica della narrativa di questo scrittore afroamericano, gay e marxista, lo sviluppo delle tecnologie consente di attenuare e poi rompere l’idea stessa di totale predeterminazione dell’individuo, di allentare la morsa delle origini come costrizione ad assumere ruoli precostituiti, di sovvertire l’idea della categoria del naturale come giusta, buona e da difendere senza discutere.

Filosofie conservatrici, per secoli ma tutt’oggi ancora potenti e diffuse, hanno stabilito con violenza che tutto quanto concerne identità e potere è stato già stabilito a priori e perpetrato da supposti ordini naturali il cui unico scopo è contrastare ogni desiderio di sovversione, ogni ricerca autonoma dell’identità, ogni rapporto che non sia funzionale all’arricchimento dei pochi e alla soggezione dei molti. La fantascienza ha iniziato a svilupparsi all’interno della cultura umana, come spiegano Robert Shoeles ed Eric S. Rabkin, quando l’umanità ha iniziato a concepire un futuro diverso attraverso la creazione di una “conoscenza moderna”. Senza cadere nella suggestione della superiorità della mentalità empirica e razionale rispetto alla visione mitica, la fantascienza svolge il compito di interpretare il presente attraverso il futuro, lavorando su determinanti come la tecnologia, le forme del potere, lo shock ambientale. È sempre Delany, con Triton, che precocemente delinea nuovi percorsi della sessualità e delle forme della famiglia che superano la determinazione biologica e si dirigono verso strutture elettive e autorganizzate.

Libellule nella rete intreccia la lezione di una fantascienza classica orientata all’antropologia di Delany e di Ursula Le Guin con lo sguardo disincantato e con il gioco vibrante di William Gibson che si sviluppa nei punti di contatto tra presente e futuro, nelle situazioni che sperimentano precocemente un domani destinato a diffondersi rapidamente e a rendere il presente obsoleto nel tempo di uno sbattere d’ali. Il romanzo si svolge tra Milano, riconoscibile nelle sue molte contraddittorie anime, e la Piana di Urlele, luogo utopico immaginario dove ecologia, informatica e ingegneria green si incontrano. Due le protagoniste: Rei, descritta in terza persona e accompagnata nelle sue riflessioni dai ritmi dell’imperfetto, e Chiara, espressa in prima persona e che si manifesta con il presente, rendono assieme il quadro complessivo della realtà politica ed esistenziale del romanzo. Già questa scelta stilistica, che segue la traiettoria di volo delle singole vicende destinate a incontrarsi, sembra alludere proprio al nostro doppio sguardo sulla realtà, incerto se richiamare il nostro passato per dare un senso al presente o piuttosto cogliere lo sfarfallio dei tanti novum del nostro contemporaneo e con loro immaginare una nuova strategia di vita. Il mondo visto da Rei è quello metropolitano pianificato che si è instaurato dopo un disastro ambientale e una crisi economica, intrinsecamente autoritario, ambizioso nella sua vocazione di occuparsi dei cittadini attraverso un fascismo soft e green.

A metà strada tra tecnocrazia e utopismo commerciale tipo Ikea, formalmente corretto in ogni suo aspetto personale e sociale, il potere che regola la società è fortemente ancorato alla cura dell’aspetto pubblico dell’individuo attraverso due pilastri fondamentali: un reddito di cittadinanza, non sufficiente a vivere autonomamente e che pertanto richiede una produzione intellettuale che ne consente l’integrazione economica, e la presenza di un sistema di valutazione permanente che opera alla base di un social network globale. Un’idea, quest’ultima, che ricorda l’episodio Caduta libera della serie Black Mirror, in cui il punteggio ottenuto da una persona all’interno dei social network è legato alla possibilità di ottenere vantaggi e servizi altrimenti indisponibili. Chiaramente la dittatura sottile dei social, già ampiamente dispiegata, richiede all’individuo di tenere comportamenti consoni al sistema di valori di chi possiede la proprietà delle piattaforme, come l’assenza di aggressività, il politically correct, la manifestazione di posizioni gradite e, soprattutto, la continuità nell’uso del sistema pubblico di connettività e il mantenimento di un livello elevato d’interazione.

In analogia al nostro attuale sistema di vita, in cui il livello minimo del benessere è spesso mantenuto attraverso l’integrazione di un perverso welfare pubblico e privato costruito attraverso sconti, bonus da spendere in determinati generi, promozioni e raccolta punti, la sopravvivenza richiede di collaborare costantemente con il sistema di potere, pena l’emarginazione, l’impoverimento e l’esclusione attraverso una gestione dei nostri dati e la registrazione dei nostri comportamenti. Rei vive il malessere di una società che richiede ai suoi cittadini di essere costantemente attivi nei social, di collaborare alla ricerca di consensi per evitare le valutazioni negative che possono precludere lavori migliori. La paranoia si spinge al punto da rileggere a ritroso la propria esistenza alla ricerca di valutazioni negative o dati di acquisto compromettenti in una lotta a eccellere che coinvolge l’intera umanità e che, come conseguenza, provoca insicurezza e depressione. La libertà pianificata dall’alto richiede che l’individuo rinunci alla sua privacy in cambio di sicurezza e garanzia minima del tenore di vita, un prezzo pagato per il superamento della crisi globale che è negli antecedenti impliciti del romanzo, ed è inevitabile che opportune IA anticipino i desideri degli individui, configurando per loro servizi e opportunità. Il controllo dell’emotività, ricercato da Rei nella sua rincorsa verso una normalità di fatto impossibile, ripropone all’interno del sistema contemporaneo delle piattaforme social il tema del consenso che era stato uno dei punti chiave della fantascienza di denuncia degli anni Settanta e di cui il film THX1138 di George Lucas era stato uno degli esempi più riusciti ed espliciti. Il passaggio a cui abbiamo assistito in questi decenni, in cui le analisi di George Mosse sulle modalità di gestione delle masse che erano stata caratteristiche dei fascismi europei, mostra il passaggio da sistemi hard coercitivi ed esplicitamente violenti (ivi compreso l’uso della chimica, degli psicofarmaci e degli stupefacenti, leggendo in anticipo la deriva degli Stati Uniti e del progetto di sincronizzare gli individui ai modelli di produzione e consumo) a sistemi soft che mettono in gioco le componenti psicologiche degli individui e i loro desideri di riconoscimento sociale e paura della solitudine.

La Piana di Urlele sorge non lontano dalla metropoli ed è una comunità dove le tecnologie green sono integrate a forme collettive di responsabilità e partecipazione; anzi, a volerla dire secondo l’approccio di Marshall McLuhan, è proprio quel tipo di tecnologia che consente lo svilupparsi di una gestione democratica e condivisa, e non il viceversa. La lotta allo spreco e la valutazione dell’impatto ambientale sono alla base dell’etica degli abitanti di questa piccola utopia e delle altre esperienze collegate in rete sparse sul territorio. Sul modello della fantascienza cyberpunk, che ha ripreso criticamente la tradizione dell’utopismo tecnologico e dell’uso delle macchine per affrancare l’umanità dalla necessità di svolgere determinati lavori, l’esperienza della Piana di Urlele è fondata sull’utilizzo consapevole della scienza e delle tecnologie al di fuori della logica del capitalismo, ma anche superando la critica alla razionalità e ai suoi prodotti che aveva caratterizzato sia filosofie e movimenti conservatori europei sia frange importanti dei movimenti rivoluzionari nati con il ’68. Tuttavia la visione utopica dell’Ottocento statunitense sembra avere fatto presa anche nell’Europa del pensiero critico francofortese ed heideggeriano, presentando nel romanzo l’idea di una tecnologia dominabile all’interno della militanza anticapitalista. Una tecnologia più strumento che fine, modellabile ai progetti umani di convivenza e solidarietà, controllabile perché nota, vincendo la logica delle culture settoriali e di cui si può discutere riguardo alla sua sfera di applicazione.

È questa un’idea della scienza (e della tecnica) tipicamente galileiana, che la vede come elemento di una cultura che è tale solo se è interdisciplinare (letteraria, filosofica e scientifica) e solo se lo scienziato e il tecnico sono consapevoli di tutti gli elementi costituivi e l’utilizzatore non delega nessuna delle conoscenze costitutive. Insomma, il prosumer di Alvin Toffler. Il pensiero deve andare ad Antonio Caronia, che aveva condiviso con Loretta Borrelli studi e idee, e che già dai primi anni Ottanta aveva segnalato i paradigmi con cui la fantascienza avrebbe mantenuto il suo ruolo di letteratura del contemporaneo, diventando – tra le altre cose – uno dei linguaggi chiave dei movimenti hacker. La microsocietà della Piana di Urlele riprende molte delle tematiche dei movimenti cyberpunk e hacker, e applica le teorie che hanno accompagnato molti esperimenti politici, culturali e artistici delle zone temporaneamente liberate ispirate alla filosofia di Hakim Bay e diffuse in Italia grazie ai molti testi pubblicati dalle edizioni Shake. Infatti l’altra faccia del rifiuto della società del controllo totale è descritta nel centro sociale che si trova ai confini della metropoli, dove le telecamere di sorveglianza sono vandalizzate e gli spazi sono occupati, condivisi e autogestiti, ma, soprattutto, dove si impara (un po’ seguendo la lezione dal basso di Don Milani) a conoscere le tecnologie che sono alla base dei servizi essenziali e a comprenderne le molteplici finalità.

“Il sistema economico ha usato il vecchio immaginario a suo vantaggio per controllare scientificamente la produzione e per ridurre tutti gli individui a sua materia prima. (…) I cittadini costruiscono le loro identità senza curarsi di essere coproduttori di valore e fattore nel calcolo di previsione.” Questa citazione (a pagina 92 di Libellule nella rete) richiama ancora Caronia quando indica l’ineluttabile fusione fisica di umano e macchina, e quindi del superamento (quasi dialettico) tra il lavoratore e le macchine sempre più complesse che gli si oppongono, ma anche quando registra che l’immaginario sta reagendo a un comportamento dell’umano che si espande attraverso le reti e, al di là del processo materiale di ibridazione tra macchina e carne, sta avvenendo un’ulteriore ibridazione, questa volta totalmente cognitiva, in cui la coscienza si dissemina nelle reti. In questa nuova dimensione esistenziale gli individui sono sia materia prima a disposizione del Capitale sia individui chiamati a produrre valore in ogni aspetto della loro esistenza sociale purché sia mediata dalle piattaforme. Per questo motivo il Capitale pretende che l’identità pubblica coincida con l’identità personale dell’individuo, che la sua descrizione esteriore diffusa nella Rete sia sempre più completa, e che l’identità pubblica sussuma quella personale, perché solo l’identità pubblica produce profitto. E allora avere più identità può essere rivoluzionario e forse può consentire alla coscienza di liberarsi e sfuggire alla morsa di colpe invisibili create ad arte per annullare ogni profondità personale ed esclusiva. Le identità ufficiali risiedono all’interno di sistemi che sono proprietà degli individui, ma di una connessione monopolistica tra stato e aziende che così detiene gli individui, gestendone le attività, i ricordi, i crediti, modulandone la libertà. Nella micro-utopia della Piana Urlele non si usano identità ufficiali, ma è, inevitabilmente una separazione tollerata e controllata. È la sua dimensione ridotta a consentirne la sopravvivenza. Chiara, più matura di Rei e che, probabilmente, ha vissuto in prima persona il processo di distacco dalla metropoli e dal sistema dei crediti sociali, si trova a dover rivedere tutte le proprie scelte messa davanti a un’utopia che rischia di inaridirsi a causa delle sue stesse regole, all’attacco del potere esterno e della polizia, alle spinte in avanti da parte di chi non si accontenta di stare fuori dal sistema ma vuole distruggerlo, all’evoluzione dei mer, macchine agricole che sviluppano una sottile intelligenza collettiva che cerca simbiosi con gli umani e con le piante.

La fantascienza è laboratorio del qui e dell’adesso, e B. Angiori ha usato con intelligenza lo straniamento che è stato fortuna e condanna di questo genere. Come è stato negli ultimi romanzi di Gibson, ridurre al minimo gli “elementi futuribili” non è necessariamente ridurre la portata dell’immaginario, ma insidiare ancora di più i nostri sensi occupati a discriminare il vero dal falso, elaborare alternative, per indurci a pensare che, se accettiamo di comprenderne a fondo le regole, forse possiamo mettere le mani in questo mondo. Raffigurare l’impensabile è stata la pratica artistica che per secoli ha mobilitato le moltitudini dei non conformi, dei dissidenti, dei sovversivi, costruendo immaginari in perenne tumulto e cambiamento, impegnati a rincorrere, prevedere, prevenire gli sforzi di ogni potere a cercare di convincere che questo mondo è il migliore di quelli possibili. Negare la vitalità dell’immaginario e delle sue forme espressive, tra cui quella forma che da un paio di secoli non si è stancata di aggredire l’ordine costituito come è la fantascienza, è lavoro di questo Capitale contemporaneo, ma, citando il Vangelo di Luca: “perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Se Luca parla di resurrezione, forse noi oggi possiamo pensare a un’immagine di questo romanzo, quello di una libellula imbrigliata che si libera.