Ultimamente le cose veramente interessanti – pur con qualche eccezione – mi capita di trovarle in libri dove le parole e le immagini si incontrano e talvolta si scontrano. Il motivo è presto detto: nel fumetto si intrecciano due grandi patrimoni culturali, chiamiamoli così, quello della letteratura e quello delle arti visive (pittura, disegno, incisione, ecc.). Questo fa del fumetto una forma d’arte complessa e stratificata con un considerevole potenziale sfruttato ancora in parte, derivante dalle molteplici e complesse interazioni tra immagini e parole. E va aggiunto lo specifico del fumetto, che è la sequenzialità narrativa (la successione delle vignette), con la quale si possono operare sorprendenti effetti di senso (dei quali fu pioniere Sergio Toppi, se mi si consente un attimo di orgoglio patriottico, e che oggi ritroviamo in modo assai diverso nelle tavole di Chris Ware o in quelle di Vojtěch Mašek, fumettista ceco del quale sentirete parlare).
Proprio un’elevata qualità dell’illustrazione e del testo, e un’originale gestione del flusso delle vignette si ritrova in un romanzo grafico che mi ha decisamente impressionato, Fortezza volante, pubblicato nel 2023 non, come di solito, da Bao o da Coconino Press, bensì da una casa editrice che non assoceremmo ai fumetti, la romana minimum fax. Gli autori, Lorenzo Palloni (classe 1987) e Miguel Vila (italiano anche il secondo, nato a Padova nel 1993) hanno già raccolto qualche premio, ma certo non sono ancora noti come i fumettisti precedentemente menzionati in questo articolo. Eppure il loro è un lavoro decisamente maturo e tutt’altro che derivativo.
Potrei sintetizzare dicendo che questo romanzo grafico è X Files trasferito in Val Padana – ma sarebbe certamente una formuletta riduttiva. Non terrebbe conto dell’originalissimo tratto di Vila, e soprattutto della scansione decisamente insolita delle vignette sulla pagina, che spesso lascia ampi spazi vuoti; va inoltre segnalata l’idea (geniale) di caratterizzare tutto ciò che nella vicenda è alieno con un accorto uso del colore rosa (grazie, Philip Kindred Dick!).
Tutto inizia nel 1933 nel comune di Vergiate (VA), luogo tutt’altro che esotico. Fruttero e Lucentini avevano sentenziato che i dischi volanti non sarebbero mai atterrati a Lucca, e avevano ragione: una macchina volante aliena precipita nel Varesotto. Siccome siamo nel bel mezzo del Ventennio, interviene la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, in altre parole le camicie nere. Alla milizia appartiene Attilio, un giovanotto del posto, e il suo commilitone (o meglio camerata) Ferdinando; tra i due intercorre un legame non propriamente virile, secondo la morale sessuale mussoliniana, rigidamente etero e orientata a dare figli alla patria (serve carne da cannone, munita di apposite baionette). L’astronave rosa viene portata (a bordo di un camion col telone che reca la pubblicità del Cynar, un tocco di sublime ironia) in una sorta di Area 51 littoria, dove verrà studiata per anni da una squadra di fascistissimi tecnici e scienziati guidati nientemeno da Guglielmo Marconi, che come ben si sa si lasciò sedurre dalle lusinghe del partito.
Sarebbe del tutto inappropriato rivelare altro della trama, che non manca di colpi di scena, di rivelazioni clamorose, di rovesciamenti inattesi (qualcosa di dickiano c’è, oltre al colore; soprattutto l’atmosfera di complotti e contro-complotti che rimanda a La penultima verità e I simulacri; ma anche, come già si disse, a tutto il filone X Files). D’altronde non è che in era fascista mancassero trame occulte, macchinazioni, cospirazioni; basterebbe pensare agli attentati al Duce orchestrati ad arte per creare consenso, oppure al tragico destino di Benito Albino, il figlio che Mussolini ebbe con la donna sbagliata (dal suo discutibile punto di vista). E pure il lato fantascientifico non manca, grazie alla leggenda metropolitana, nata da un memoriale di Donna Rachele, nel quale si accenna a un raggio della morte realizzato in gran segreto proprio da Marconi, e testato nel 1937; la storia non è mai stata verificata, ma sicuramente deve aver ispirato Palloni & Vila. Per ultimo, e non in ordine di importanza, le voci relative all’UFO precipitato a Magenta proprio nel ’33 e poi custodito per un certo tempo a Vergiate, altra leggenda (o forse fatto storico?) che sicuramente ha ispirato i due autori. Insomma, grazie a un impianto derivato dalla più classica fantascienza (c’è anche Wells all’orizzonte), si riesce a offrire uno scorcio del Ventennio che evidenzia tutte le miserie del periodo, culto della violenza, autoritarismo, intolleranza, fame di potere da conseguire a tutti i costi, maschilismo brutale, servilismo, falsità, non manca niente.
Soprattutto è ammirevole il modo in cui la sceneggiatura di Palloni intreccia la grande storia – quella nazionale – con quella della famiglia di Attilio (che viene coinvolta volente o nolente nell’intrigo), il pubblico e il privato; e come la storia non si chiuda nel 1945, ma abbia tutta una serie di strascichi ben dopo. Proprio come il fascismo, e di questi tempi è difficile far finta di ignorarlo, visto l’attuale quadro politico.
In conclusione: farebbe piacere trovare adesso romanzieri “tradizionali” (di quelli senza vignette e senza figure) che mettano su qualcosa di coraggioso e innovativo, relativamente al tema “Italia fascista”, come Fortezza volante. Gli ultimi che ci si sono provati sono stati Enrico Brizzi con la trilogia fantastorica italiana, e Tullio Avoledo con La ragazza di Vajont; da allora quella pratica è rimasta chiusa fino all’uscita di questo romanzo grafico. Scurati è alle prese col Duce coadiuvato da una squadra di ricercatori, e gioca la sua partita attingendo alla storiografia; ma come dimostrano Palloni e Vila, non è detto che con Mussolini Benito figlio di Alessandro non si possano fare i conti anche con gli UFO.