Il gioco del calcio, si sa, è materia viva. Articolo di fede, fonte di passione, è ben più di un hobby o di uno sport, praticato o meno. A saperlo maneggiare sarebbe un suggestivo soggetto letterario, una privilegiata finestra sul mondo, sull’individuo e sulla società. Di romanzi su argomento calcistico, in effetti, ne sono stati scritti. Non forse quanti esso meriterebbe, e pochi davvero degni di menzione. Probabilmente il calcio sconta un antico pregiudizio, rari i grandi autori italiani che vi si sono cimentati. A fronte di un Pasolini, che non aveva problemi a dichiarare il suo amore per quello sport, v’erano e vi sono torme di scrittori che al solo nominarne la parola storcono con sprezzo il naso.
Lorenzo Moretto, dopo un interessante esordio (Una volta ladro, sempre ladro, finalista ai premi letterari Giuseppe Berto e Città di Lugnano) ne ha fatto invece il centro del suo secondo romanzo, Finale di stagione, edito da 66thand2nd. L’idea vincente, a nostro avviso, è di aver indagato letterariamente, con cura del particolare e conoscenza di prima mano, il rigoglioso sottobosco di cui il calcio si alimenta – o al contrario, quelle selve onnivore di intrighi affaristici che di esso, dei sogni e dell’immaginario che lo circondano avidamente si nutre.
La trama è presto detta: il protagonista, Nick Malacrea, ha fatto del pallone la sua professione. Con alle spalle una breve esperienza nelle giovanili d’una squadra di provincia, dopo un rigetto per quello sport che non gli aveva dato quel che si aspettava, si forma un’esperienza come osservatore e viene ingaggiato dalla Triestina, quell’anno militante in serie A, ma fanalino di coda. La crisi della compagine alabardata, che suscita violente proteste di piazza, si rispecchia nella crisi esistenziale di Nick, con un matrimonio naufragato e una carriera stagnante. È alla continua ricerca di un campione in erba, che riscatti il suo lavoro e la sua squadra, che dia un senso ad una vita che sente vuota e insensata. Finché un giorno tutto sembra cambiare: riceve da una fonte anonima dei video, e nelle torme di ragazzini che s’affannano su campetti polverosi gli pare di scorgere un autentico fenomeno, che se soffiato alle folle di procuratori e osservatori che setacciano l’Europa potrebbe cambiare le sorti della stagione della Triestina. Il ragazzo si chiama – ma non ne è certo, sembra un’araba fenice – Marek Słonce, di lui non si sa pressoché nulla, forse è polacco, o di un paese dell’Est europeo. Siamo alle soglie della sessione invernale di calciomercato, il momento giusto per assicurarsene le prestazioni. Nick vola in Polonia dove due improbabili collaboratori, parte di una pletora di figure di contorno che rendono corale il romanzo, lo aiuteranno a scovare Słonce.
Inizia così un viaggio avventuroso e allucinato. Nick batte indefessamente i luoghi del fu comunismo, dalla Polonia alla Repubblica Ceca, dall’Ucraina alla Bulgaria, passando per Slovacchia, Ungheria, Lettonia: terre economicamente depresse e moralmente inaridite, come il più ricco occidente. Una ricerca disperata per rintracciare il fuoriclasse sfuggente, ma anche un percorso iniziatico nella plumbea e ruvida realtà di un mondo fatto di truffe e raggiri, illusioni e compromessi innanzitutto con se stessi, popolato da quelle figure che affollano appunto il sottobosco calcistico: procuratori, osservatori, mediatori, broker, sensali, allenatori incapaci, genitori e parenti insensati: una triste fauna smarrita nel vano inseguimento di irrealizzabili sogni di ricchezza e di successo. E con l’unica, acquisita certezza di “una verità scomoda, che il talento è governato dal mistero”. La Triestina intanto è sull’orlo del baratro; poi, quando ormai aveva abbandonato ogni speranza, Nick finalmente vede Marek Słonce in azione.
Il finale è inaspettato, ambiguamente catartico. Ombre e incubi si mescolano in maniera inquietante: l’autore è invero abile a dare l’ultimo ricamo al complesso arazzo intessuto di molteplici fili, nella rappresentazione di un mondo complesso e dinamico, lurido e melmoso ma dove pure affiorano inattesi slanci umani – comunque straordinariamente vivo e vitale. Anche la lingua si fa notare. Il racconto di passioni e delusioni, di splendori e miserie del calcio – non solo di provincia, poiché sono ritratte anche le realtà dei mega club europei –, un mondo dove non v’è salvezza, in cui il confine tra sogno e veglia, finzione e verità è mobile come un’inafferrabile ala sulla fascia, si concretizza in un idioma altrettanto mosso, che alterna la narrazione in prima persona della prima e della terza parte con quello più oggettivo e corale della seconda, mescolando codici e idioletti tecnici col frasario sintetico ed icastico delle mail e dei whatsapp, dei video di youtube e dei social: un impasto linguistico creativamente forgiato, che rispecchia il nostro marcio tempo. Eppure, malgrado tutto, “l’illusione del calcio basterà”.