Nel suo essere “magico”, Fuochi è un libro lucidissimo, costruito come un coltello per affondare nel cuore della storia. C’è un motivo se questo fumetto del 1984 è unanimemente definito come una delle opere più significative della nona arte, dato che in queste tavole si può ammirare, nella sua piena ricchezza, tutto il potenziale narrativo dell’arte sequenziale. Fuochi mostra come l’uso del testo possa sublimare quello descrittivo/evocativo, fondendosi e divenendo precipuamente complementare all’immagine dipinta, alle sue forme e alla vita che vi è in esse.
A rinnovata testimonianza di un periodo creativo irripetibile come quello italiano degli anni Ottanta, Fuochi usciva per la prima volta a puntate sulla rivista “alter alter”, per poi trovare pubblicazione in volume nel 1991 per Granata Press. Oggi una nuova edizione in brossura lo riporta nelle librerie grazie alla collana #logosedizioni, che vi racchiude alcune tavole inedite e un saggio del cineasta e scrittore Jonny Costantino. Realizzato negli anni in cui Mattotti fondava il collettivo Valvoline, Fuochi è l’opera che porta a maturazione il percorso inaugurato col suo primo lavoro a colori Il signor spartaco, altro titolo fra quelli altrettanto clamorosi ripubblicati da Logos.
La storia parrebbe uscita dalla penna di Buzzati, con la corazzata Anselmo II che arriva nella baia dell’isola di Sant’Agata per investigare, e possibilmente per estirpare, un potere che non intende piegarsi a quello precostituito. La razionalità si trova a rivaleggiare violentemente con l’istinto primordiale, al quale è impossibile sfuggire e a cui il tenente Assenzio cede con stupita incoscienza. Il senso del libro è tutto nella sua confessione: “Io ho ucciso un uomo, ma ho salvato le mie emozioni…”. Lo smarrimento fa riaffiorare le trepidazioni, anche le più recondite, e la loro salvezza arriva anche dall’abbattimento della razionalità, dall’infedeltà al proprio lato più logico.
Le figure sfuggenti, le fiamme rosso acceso, le forme da riassemblare e quei pastelli a olio intrisi, grassi, obbligano il lettore a calarsi interamente nelle tavole, scrutarle e interpretarle. L’espressione si piega al linguaggio e il coinvolgimento nel voltare pagina spinge ana visione accurata e per molti versi onirica. Alla secchezza degli ordini militari si contrappone la libertà poetica delle apparizioni psichedeliche di Assenzio, che diventano anche testo elegiaco e grida parossistiche.
Da quei giorni del 1984, Mattotti non abbandonerà più la sua straordinaria capacità di riassemblare i racconti, puntando spesso sulla sinestesia, facendosi ispirare dal cinema e della musica, cedendo all’esuberanza del colore e alle stratificazioni di senso. La complessità di Fuochi è potente proprio perché intrisa anche di leggerezza, di sentimenti e di emozioni, imponendo felicemente una fruizione lenta e appassionata. Alla fugacità di tanta produzione contemporanea, al florilegio di instant book e storie basate sulla cronaca, il maestro bresciano ribatte col mistero e l’istinto, invitando non solo alla lettura ma anche alla rilettura, per scoprire un altro livello paratestuale. Al netto del blasone di “classico” che lievita costantemente attorno a quest’opera, Fuochi va letto per il piacere dell’allegoria e l’universalità dei temi affrontati, per il desiderio di conoscere le sorti dei personaggi e per l’empatia che ciascuno prova verso tutti i protagonisti di questa storia. Ma soprattutto perché porta a porsi una domanda: cosa può accedere se decidiamo di sottrarci alla nostra razionalità?