È una specie di diario di viaggio quello che ci propone Lorenzo Guadagnucci con il suo Camminare l’antifascismo. Un viaggio nella memoria storica italiana di resistenza e contrasto al nazifascismo, un viaggio materiale compiuto a piedi da un gruppo di persone tra Marzabotto-Monte Sole, e Sant’Anna di Stazzema.
Guadagnucci è nipote di Elena, morta a 43 anni nella strage di Sant’Anna di Stazzema compiuta dai nazifascisti il 12 agosto 1944. Ed è figlio di Alberto, scampato all’eccidio perché, al momento, i maschi del paese si erano rifugiati nei boschi per sottrarsi alla cattura. Il racconto che ricaviamo da questa pubblicazione è denso di notizie e di riflessioni. Ci parla di storia, con le azioni partigiane e i blitz contro le colonne tedesche. Ci parla di politica, come per le vicende di Giuseppe Dossetti presidente del CLN di Reggio Emilia, convinto militante partigiano e interprete di un cristianesimo autentico e radicale. Lo stesso Dossetti che, negli anni Cinquanta, si fa monaco e fonda, tra le altre iniziative, la Piccola Famiglia dell’Annunziata, una comunità stabile sul percorso che può dare ristoro ai camminanti.
Durante il cammino le persone pensano e riflettono sugli eccidi e sull’ideologia fascista. Pensano e si pongono interrogativi che spesso diventano pubblici: “Sarei stato capace di dire di no o avrei eseguito gli ordini?” Questa è una delle domande, forse la più scomoda e lacerante. Porsi una questione del genere significa già fare un passo verso l’impegno antifascista. Ognuno dovrà decidere secondo coscienza, ma ormai l’importanza della disobbedienza come atto di lotta è un dato condiviso da tutti e postulato per sempre. La violenza dei nazifascisti, mentre il gruppo prosegue la marcia, riappare tra gli alberi di quelle montagne e ci parla ancora della nostra responsabilità politica di fronte ai barconi di migranti che (non) approdano sulle nostre coste perché lasciati morire in mare oppure sono respinti.
Man mano, sul gruppo che procede in fila indiana, cala un silenzio spettrale che accompagna fino al paese di Vergato, la cui storia rappresenta uno degli omissis nella ricostruzione storica del nostro Paese in quegli anni, con gli incessanti bombardamenti (spesso inutili) degli aerei alleati che quasi la rasero al suolo. Riaffiora la storia dell’Italia coloniale quando, durante una pausa, un componente del gruppo cita e racconta il massacro di Addis Abeba che gli italiani compirono per vendicarsi dell’attentato a Rodolfo Graziani, all’epoca viceré e riconosciuto oggi tra i peggiori criminali di guerra.
Ma cosa rimane di tutto questo? Un’altra memoria è possibile? Perché le istituzioni hanno così facilmente ceduto all’idea della militarizzazione delle feste nazionali? A partire dal 2 giugno con la sfilata dell’esercito in via dei Fori Imperiali? Appare così evidente come la questione di una memoria diversa ormai coinvolga tutto l’ambito dell’agire umano. Oggi lottare significa anche combattere la cultura dell’eterno presente e del consumismo senza senso. E camminare. L’attività del camminare, anch’essa diventa un atto politico. Lungo il percorso emergono molte altre storie e altre vicende, dalla resistenza non violenta di Capitini alle diverse Brigate partigiane che operarono nella zona. Si incontra il ceppo che un ex militare tedesco, Kurt Kayser, fece sistemare accanto a una fabbrica di armi della zona in ricordo della popolazione civile a cui era rimasto molto legato. Si percorre poi la stessa mulattiera usata da una delle quattro colonne di SS il 12 agosto 1944 per arrivare infine a sant’Anna di Stazzema. C’è il murales dedicato a Spike Lee, regista di un film assai mal riuscito su quei tempi di guerra. E si ha la percezione chiara e distinta di che tipo di operazione sia stata fatta intorno all’eccidio e all’antifascismo in genere.
Per fortuna quei luoghi non sono stati (ancora) turisticizzati, come qualcuno pure vorrebbe. Ma alcuni dettagli delle cerimonie commemorative raccontano di un paese che non ha risolto i suoi problemi. Perché la banda militare intona la canzone del Piave, che oggi i postfascisti vorrebbero in sostituzione di Bella Ciao? Perché il ricordo dell’eccidio si impregna di tematiche legate all’identità e al nazionalismo? Perché la memoria viene trafugata da altri oppure rappresentata soltanto da un rito consolatorio?